di Luigi Pirandello
revisione linguistica Letizia Russo, Andrea Baracco
con Silvio Orlando
e con [in o. a.] Francesca Botti, Michele Eburnea, Francesca Farcomeni
Davide Lorino, Annabella Marotta, Stefania Medri, Marta Nuti
regia Andrea Baracco
aiuto regia Andrea Lucchetta
scena Roberto Crea
costumi Marta Crisolini Malatesta luci Simone De Angelis
sound designer Giacomo Vezzani
produzione Cardellino
in coproduzione con Teatro Stabile dell’Umbria, Teatro Stabile di Bolzano
Beatrice Fiorica, donna della buona società siciliana, sospetta che il marito la tradisca con la moglie di Ciampa, modesto scrivano al suo servizio. Decisa a smascherarlo, si confida con la madre e con la cameriera e coinvolge il delegato di polizia Spanò, affinché intervenga. Convinta di possedere le prove, Beatrice denuncia pubblicamente l’adulterio, senza immaginare le conseguenze che il suo gesto può provocare. Ciampa, messo all’angolo, teme che l’onore venga compromesso e che la sua vita vada in frantumi. Per non diventare lo zimbello della città, è costretto a una soluzione estrema: far passare Beatrice per folle, così che la denuncia perda valore e l’ordine delle cose resti intatto. Tra sospetti, equivoci e voci mai del tutto confermate, i personaggi si muovono in un clima di ambiguità che lascia intatto il dubbio sull’effettiva colpa dei presunti amanti.
Pirandello non è autore per tempi di pace, ma di guerra. È il tempo di guerra a creare le condizioni effettuali per comprendere l’autore siciliano; il dissolversi del principio di identità, la tragica disintegrazione dell’io, il gioco di specchi intorno alle molteplici individualità dell’essere umano. In tempi di guerra se la realtà chiama, Pirandello sa cosa rispondere; intravede la feroce e grottesca maschera di un mondo convulso e impazzito. I tempi di pace sono i tempi degli ismi, della ricerca affannosa di una filosofia e allora sotto con “essere è apparire” o “conflitto tra vita e forma” con il pirandellismo insomma; quell’insopportabile pozzo del pensiero che sembra mettere in pausa il teatro, la concretezza degli accadimenti per passare altrove, in un generico luogo, astratto. Inchiodare in una formula un autore è sempre molto pericoloso, con Pirandello è quasi mortale. Sentire il bisogno di chiarire più che di capire ha chiuso l’autore dentro una formula lucida e perentoria, non permettendo ai suoi personaggi di far esplodere quello che hanno di più potente, le passioni. Solo liberandolo dalle preoccupazioni filosofiche, Pirandello mostra il suo volto autentico. Si vede solo allora come i grandi protagonisti della drammaturgia pirandelliana siano uomini costretti a frugarsi dentro e non lucidi pensatori al dettaglio.
Andrea Baracco