La Pinacoteca Civica ospitata nel prestigioso Palazzo Pianetti è uno dei più importanti tesori della città che dal 1981 conserva un'interessante collezione d'arte che va dalla prima metà del '400 fino ai nostri giorni.
Da non perdere è la visita alla galleria degli stucchi in stile rococo, al settecentesco ciclo pittorico sulle Storie di Enea e agli appartamenti ottocenteschi del secondo piano del palazzo.
Esposte nelle sale un consistente numero di opere del noto artista veneto Lorenzo Lotto e una serie di significative opere pittoriche di artisti in qualche modo legati al territorio.
Collezione in continua crescita, visto che grazie al Premio Rosa Papa Tamburi ogni anno si arrichisce con nuove opere d'arte.
Collezione di Arte antica e moderna
Il nucleo originario della raccolta è formato da opere a carattere religioso dal XV al XIX secolo, in origine collocate in varie chiese cittadine alle quali si sono aggiunti nel tempo altri dipinti ottenuti attraverso lasciti, depositi, donazioni e acquisti.
Caratterizza la collezione comunale un consistente gruppo di opere di Lorenzo Lotto eseguite tra il 1512 e il 1535 per le chiese di S. Francesco al Monte e S. Floriano: la Deposizione, l’Annunciazione, la Madonna delle Rose, la pala di S. Lucia e la Visitazione.
All’area crivellesca rimanda la Pietà di Nicola di Maestro Antonio di Ancona, proveniente dalla chiesa di San Marco, che rivela uno stile espressionistico di grande impatto emotivo.
Oltre a quelle citate, la Pinacoteca conserva interessanti opere di pittori quali: Pietro Paolo Agabiti, Giuliano Presutti, Pomarancio, Francesco Albani, Antonino Sarti, Carlo Maratti, Carlo Cignani, G.Battista Langetti, Giacomo Del Po, Francesco Trevisani, Domenico Valeri, Cristoforo Unterperger.
Un insieme assai interessante è costituito dai Vasi da Farmacia proveniente dall’Ospedale di Jesi, fondato dai Fatebenefratelli nel 1742. Si tratta di una collezione completa di contenitori ceramici officinali composta da più di 200 pezzi realizzati nella bottega di Francesco Luzi di Urbania nel 1775.
Per quanto riguarda il materiale scultoreo, si segnala la presenza si stemmi, lapidi, bassorilievi e fregi architettonici che coprono un arco di tempo che va dal XIII al XVIII secolo.
Di pregevole fattura, una croce astile in lamina d’argento datata 1525, firmata dall’incisore jesino Giovanni Battista De Santis e proveniente dalla demolita chiesa di S. Maria del Portone.
Collezione di Arte Contemporanea
La collezione d’arte contemporanea ospitata negli appartamenti ottocenteschi vanta un ricco gruppo di opere che vanno dalla seconda metà dell'800 fino ai nostri giorni.
Costituita a partire dal 1938, grazie soprattutto alle donazioni di artisti e collezionisti, comprende oggi più di 600 opere. Il nucleo più significativo nasce da opere giunte in sede grazie ad Orfeo Tamburi. Nel 1964 il celebre artista di origini jesine dona alla Pinacoteca 54 tra i suoi disegni, acquarelli, guazzi e stampe del periodo 1948 – 63. Nel 1975 inoltre Orfeo Tamburi istituisce il “Premio Città di Jesi - Rosa Papa Tamburi” intitolato alla madre. Il premio a cadenza biennale comporta l’obbligo per gli artisti premiati di donare alla Pinacoteca di Jesi una loro opera, ed è così che la collezione si arricchisce di opere di importanti autori come Guttuso, Guidi, Cantatore, Paulucci, Sassu, Mattioli, Trubbiani, Piacesi, Morlotti, Biancini, Ciarrocchi. Dopo la morte dell’artista la biennale diventa un premio /acquisto continuando ad incrementare il patrimonio della Pinacoteca.
Nel 1981 per celebrare L.Lotto viene allestita a Jesi una mostra dal titolo “La ruota del Lotto” alle quali partecipano fra gli altri Michelangelo Pistoletto, Luigi Ontani, Omar Galliani, Luigi Giandonato, Gianfranco Notargiacomo, che lasciano in Pinacoteca le loro opere.
Galleria degli stucchi
La Galleria degli Stucchi, con i suoi 70 metri circa di lunghezza e la sala ottagonale che ne completa ed esalta l’illusionismo prospettico, rappresenta una delle maggiori attrattive di Palazzo Pianetti ed uno degli esempi più limpidi di rococò nell’Italia centrale tanto da prestarsi a confronti con le imprese del barocchetto mitteleuropeo.
I lavori di stucco – attribuibili a Giuseppe Tamanti, Giuseppe Simbeni e Andrea Mercoli – furono effettuati tra il 1766 e il 1770.
Nel 1771 si cominciò la decorazione anche delle porte, delle finestre, dei parapetti, degli scuri, nonché dell’arredo.
Quest’ultimo era costituito da mezzi tavolini, sofà, specchiere, sgabelli intagliati, cornici e tappezzerie; il tutto per lo più bianco con qualche concessione alle dorature ed alle tinte pastello.
Dal 1771 al 1779 l’aquilano Giuseppe Ciferri fu responsabile del settore pittorico.
Nei riquadri della volta sono raffigurati dei puttini che richiamano i segni dello zodiaco, mentre tutto il percorso della galleria è decorato con immagini di allegorie e scene lagunari.
Nell’ambiente ottagonale vi sono quattro paesaggi, mentre sulla volta compaiono le allegorie della Giustizia, Fortezza, Sapienza e Temperanza, arricchite da monocromi azzurri.
È chiara l’intenzione di creare un equilibrio tra gli elementi scultorei e quelli pittorici: stucchi e colori, bassorilievi e decorazioni varie risultano fusi armonicamente.
La galleria appare strutturata secondo moduli regolari. Attraverso una duplice simmetria – trasversale l’una, longitudinale l’altra – gli elementi sono disposti secondo rapporti di ordine ideologico e simbolico legato al nuovo pensiero illuministico. Le eccedenze e la teatralità del barocco vengono così controllate e mitigate dai nuovi dettami settecenteschi creando attraverso gli stucchi e le pitture a tempera un elegante percorso allegorico, perfettamente inserito nella filosofia che sottostà al progetto artistico, che nasconde tra i simboli il viaggio dell’uomo nel tempo e nello spazio verso la conoscenza. Sulle pareti e nella volta è raffigurato il tempo che scorre , le ore, i giorni, i mesi, le quattro stagioni; si allude invece allo spazio nel ciclo degli elementi primari della natura e dei continenti. Il viaggio dell’uomo ribadito anche dalle scene lagunari e marine si compie naturalmente sotto l’egida delle arti liberali, la pittura, la scultura, l’architettura e la musica realizzate in stucco.
La galleria è stata restaturata nel corso del 2004/2005, riportando a vista l’assetto cromatico originario capace di creare la giusta atmosfera settecentesca, elegante ed intellettuale, in cui la nobile ed importante famiglia jesina viveva.L’intervento inoltre ha permesso il recupero di tutti i finti marmi delle cornici delle porte e delle finestre e tolto il grigio topo, incongruente, del battiscopa.
Un’altra interessante scoperta è stata lo svelamento di ovali contrassegnati da eleganti lettere nelle pareti della galleria e dell’esedra, nascosti da diversi strati di tintura verde apportati dai restauri degli anni ’70. L’intento di questo restauro è quello di offrire al visitatore la più intima e fedele comprensione della Galleria degli Stucchi, ridandole dopo lo studio attento dei materiali, le sue forme ed i suoi colori originali, che “rivelano il volto incipriato di quella lontana stagione rococò”.
Le stanze di Enea
Carlo Angelini Paolucci di Urbino (1738-1803) e Placido Lazzarini di Pesaro (1746-1820), sono gli autori delle Storie di Enea dipinte a tempera dal 1781 al 1786 nelle volte delle sei stanze che si affacciano sulla galleria di Palazzo Pianetti. La prima stanza, in corrispondenza dell’esedra, raggruppa episodi legati alle vicende troiane che sono premessa all’itinerario virgiliano: Il sogno di Ecuba; Lo sbarco di Elena a Troia; Achille nell’isola di Sciro, Il ratto di Ganimede; Il sacrificio di Ifigenia. Le successive tre stanze illustrano episodi contenuti nei primi sei libri dell’Eneide, mentre la quinta stanza riassume tutta la seconda metà del poema, dal VI al XII libro. La sesta stanza celebra la poesia: nella scena centrale Apollo incorona Virgilio sul monte Parnaso; nei quattro monocromi verdi, episodi del mito di Orfeo ed Euridice. L’immagine che colpisce più vistosamente, per l’alto valore simbolico di cui è caricata, è la scena centrale della terza stanza: Enea costretto a fuggire da Troia in fiamme (la civiltà distrutta), con Anchise sulle spalle (il passato), il figlio Ascanio per mano (il futuro), mentre la moglie Creusa (i sentimenti familiari) sta per essere uccisa dai soldati greci.
L’adesione alla poetica neoclassica, teorizzata nelle sue Dissertazioni dal canonico Gianandrea Lazzarini, maestro dei due pittori Carlo Paolucci e Placido Lazzarini, giustifica e spiega la rinuncia a toni drammatici, a sentimenti e passioni concitate. Nella sesta stanza, adibita a “Salone delle feste” e, quindi, luogo di incontro conviviale, il Trionfo della Poesia non rappresenta solamente la conclusione delle Storie di Enea ma costituisce l’ideale completamento dell’intero complesso e riassume i valori culturali della galleria e delle stanze.
Appartamenti Ottocenteschi
Al secondo piano di Palazzo Pianetti vi è un appartamento ottocentesco che, poco conosciuto in confronto al settecentesco piano nobile con la galleria degli stucchi e le stanze di Enea, costituisce un esempio della trasformazione degli ambienti “aperti” del palazzo nobiliare rinascimentale (che accoglieva ospiti e domestici) negli ambienti “chiusi”, tipici dell’intimità domestica propria della famiglia unicellulare ottocentesca.
In previsione del matrimonio tra Vincenzo Pianetti e Virginia Azzolino, avvenuto nel 1859, si decidono importanti lavori di ristrutturazione, affidati all’architetto Angelo Angelucci.
Vengono quindi affrescati i vari ambienti: le decorazioni che si affacciano sul giardino, vale a dire quelle del cafè house, un camerino, una stanza da letto, un gabinetto di toeletta, una stanza da bagno ed un guardaroba, sia per ragioni di ordine stilistico che per la scelta del soggetto – Venere e le sue diverse rappresentazioni allegoriche – sono ancora legate alle favole galanti rococò del secolo precedente e sono state realizzate negli anni 1858-’59. Siamo certi che in queste sale vi lavora il pittore anconetano Fortunato Morini in quanto la sua firma è stata recentemente rinvenuta sul soffitto di una stanza. Da studi di ordine stilistico ed iconografico appare però improbabile cha la mano che ha dipinto gli affreschi di queste sale sia la stessa di quella degli ambienti che si affacciano sulla strada, realizzate in epoca più tarda. Questa parte, infatti, con la sua insistente retorica risorgimentale, risale al 1877. Già lo storico jesino Cesare Annibaldi faceva riferimento ad Olimpio Bandinelli quale autore degli affreschi dell’appartamento del secondo piano; da quanto detto precedentemente diviene chiaro che a questo artista vanno riferite non le pitture risalenti al 1858-’59, ma quelle del 1877, due anni dopo la morte di Virginia Azzolino.
In tale data, infatti, la figlia Emilia Pianetti doveva averlo visto all’opera a Firenze, in casa Gabbianelli, in cui il gusto per la retorica risorgimentale era evidente. In Palazzo Pianetti questo tipo di retorica ritorna soprattutto nell’Allegoria dell’Italia, affrescata nell’anticamera e nei cammei dei “geni italici” Tiziano, Leonardo, Michelangelo e Raffaello della sala da pranzo.
Gli appartamenti ottoscenteschi sono ora sede della sezione d'arte contemporanea della Pinacoteca.
fonte: www.turismojesi.it