Riccardo Cucchi a Loro Piceno per il Festival Storie
Riccardo Cucchi a Loro Piceno per il Festival Storie
Altri eventi
27 Novembre ore 21,30Teatro Comunale Loro Piceno (MC)
27 Novembre ore 21,30Teatro Comunale Loro Piceno (MC)
Descrizione
Giovedì 27 novembre, alle 21.30, il Teatro Comunale di Loro Piceno ospita una delle voci più amate e autorevoli del giornalismo sportivo italiano: Riccardo Cucchi. Una grande serata per il 5° Festival Storie, dedicata a chi il calcio lo ha raccontato con passione, misura e visione, trasformandolo spesso in narrazione culturale, sociale, umana. Cucchi, per oltre trent’anni voce storica di “Tutto il Calcio minuto per minuto”, presenterà il suo libro "Un altro calcio è ancora possibile", un viaggio dentro ciò che il pallone può ancora rappresentare: un linguaggio comune, un luogo di crescita, un’esperienza collettiva capace di restituire valori e comunità. Un appuntamento (ingresso libero) che unisce voce, memoria, emozione e il desiderio di ritrovare lo spirito più autentico del gioco. Ingresso libero. Sul palco Cucchi dialogherà con Maurizio Socci.
Cucchi, una serata che calza a pennello con lo spirito del Festival Storie che mette al centro il racconto come forma di comunità, un po' come fa il calcio.
“Esatto, il calcio è un grande fenomeno popolare e sociale, un vero contenitore di storie: quelle di chi gioca, certo, ma soprattutto quelle dei tifosi. È un universo di emozioni, passioni, delusioni, gioie e, a volte, dolori”.
Quando è iniziata la sua storia con il calcio?
“È come se fosse nata con me. Da bambino ne ero affascinato: le figurine, la radio della domenica, le voci dei grandi che ti portavano dentro lo stadio. Poi sono diventato un ragazzo di curva, quindi un professionista, e oggi — finito di lavorare — sono tornato quel ragazzo di curva. Della Lazio, ora lo posso dire. Quando lavoravo non lo sapeva nessuno: rispondevo sempre che lo avrebbero scoperto solo quando avrei smesso”.
Guardando alla sua carriera: c’è un momento, o una partita, in cui ha avuto la percezione precisa di quanto il calcio potesse essere anche un racconto di vita, oltre che di sport?
“Sempre. Ho sempre creduto che il calcio fosse innanzitutto valori, ed è uno dei temi centrali del libro. Oggi il pallone ha imboccato una strada pericolosa: si lascia abbindolare dal vortice del denaro e rischia di perdere la sua essenza di sport, la sua identità più profonda”.
Nel libro lei sostiene che “un altro calcio è ancora possibile”: qual è, secondo lei, il primo cambiamento che potrebbe davvero riportare il gioco alle sue radici più sane?
“Vorrei che, in un mondo calcistico dove i soldi hanno invaso tutto, si ritrovasse spazio per valori, sentimenti e passione. Come ricordava Mandela, “lo sport è in grado di cambiare il mondo”. Negli stadi dovremmo adottare comportamenti virtuosi, essere noi i primi a trascinare la società verso il rispetto dei diritti umani, troppo spesso calpestati nel silenzio, anche dello sport”.
Oggi i bambini e i ragazzi vivono il calcio in modo diverso rispetto al passato: che cosa vorrebbe dire loro, da osservatore appassionato e da voce storica del pallone?
“Più che parlare, mostrerei loro un vecchio filmato: i tempi supplementari di Italia-Germania 4-3 del 1970. In quella mezz’ora c’è tutta l’essenza del calcio, e capirebbero subito perché questo sport è così bello. Vorrei anche che i bambini tornassero più spesso allo stadio: il calcio vero si vive lì, insieme. Vedere i loro occhi incantati davanti al manto verde è qualcosa che ricordo bene anch’io”.
Se dovesse indicare l’aspetto del calcio moderno che più contrasta con i valori che racconta nel libro?
“Ci sono due parole che detesto associate al calcio e allo sport in generale: spettacolo e intrattenimento. Il calcio non è questo. È passione pura, è sentimento. Sfido qualunque tifoso a dirmi che va allo stadio per divertirsi: si va soprattutto per soffrire”.
“Un altro calcio è ancora possibile” è un’idea che guarda al futuro: quale speranza l’ha guidata nella scrittura e cosa vorrebbe che il lettore portasse con sé?
“Un grande ottimismo. L’editore mi aveva proposto di mettere un punto interrogativo nel titolo, ma mi sono opposto: sono davvero convinto che un altro calcio sia possibile. Non dobbiamo guardare al passato con nostalgia, ma neppure dimenticare 167 anni di storia. Il calcio è un fenomeno popolare con radici culturali profonde, e quelle radici vanno innaffiate. Dovremmo essere capaci di rinunciare a un po’ di soldi in cambio di valori”.
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