Il centro, che in età romana fu influenzato dalla posizione che veniva ad occupare all’interno del complesso viario che aveva come centro la vicina Urbs Salvia, era, già nel VI secolo, un importante centro piceno, come dimostra una stele funeraria, attualmente conservata presso il Museo Archeologico Nazionale delle Marche di Ancona, che rappresenta la più antica testimonianza di insediamenti umani nella zona. Nel 1910 furono rinvenute tracce di un ponte e di una costruzione romana lungo la strada che dalla Porta Gemina, a sud-est dell’antica città, andava a Falerio Picenus e risaliva per la contrada lorese di S.Valentino, oltre a una stele funeraria romana databile tra il I ed il II secolo a.C., conservata nell’atrio della chiesa di S.Lorenzo di Urbisaglia. Partiva da Porta Gemina anche una seconda strada che attraversando Campolargo, luogo probabilmente destinato, in passato, alle esercitazioni militari, conduceva fino a Firmum Piceno, attraversando Mogliano, Francavilla d’Ete e Rapagnano.Molto importanti furono le sorgenti salso-bromo-iodiche presenti nella valle del Cremone, frazione di Loro Piceno, che avevano un particolare legame con il contesto religioso terapeutico che faceva parte del santuario della Dea Salus urbisalviense. Infatti si pensa che nella contigua contrada delle Bagnere fosse esistito un vero e proprio complesso termale, dove agli inizi del ‘900 furono rinvenute tracce di una villa e di una pavimentazione a mosaico insieme a significativi reperti di età augustea andati purtroppo dispersi.
Medioevo
Dal IX al X secolo il castello di Loro appartenne all’Abbazia di Farfa. Nell’875 Ludovico II lo donò, insieme a Caldarola e Vestignano, al monastero di S. Clemente in Casauria o in insula Piscaria. Nel 1055 Loro Piceno entrò a far parte della chiesa fermana insieme ad altri 129 castelli. L’antica rocca dell’abitato, come attesta una carta fiastrense del 1141, sorgeva dove poi fu costruita, ad opera dei benedettini, la prima chiesa del paese, S. Maria di Piazza. Nella prima metà del XII secolo iniziò ad estendersi sul castello lorese il controllo della vicina Abbazia di S. Maria di Chiaravalle di Fiastra, che possedeva ampi appezzamenti in Contrada del Leone. Tali possedimenti facevano parte di quella corte de Loru di cui si ha notizia sin dal 1116, ma della quale non si conosce l’esatta estensione. Per quanto riguarda il nome della città, probabilmente il fitonimo laurus può essere passato nell’onomastica medievale divenendo distintivo di una famiglia locale, come nel caso dei Lori di Fabriano. Infatti, una carta fiastrense del 1167 attesta l’esistenza, nell’area di Villamagna, di una terra spettante ai conti Lori o Lauri di Loro. Ci fu infatti una famiglia, i nobili Lauri o Laurenti, che si potrebbero definire come i più antichi signori del castello, di cui però si hanno notizie in ambito lorese solo a partire dal XVI secolo. Non é da escludersi tuttavia che essi potessero avere legami di parentela con i potenti conti Offoni di Villamagna, che in quegli stessi anni facevano la loro comparsa nella storia del paese. Di origine franco-salica e discendenti dai Mainardi, gli Offoni erano arrivati in Italia tra l’VIII ed il X secolo nel momento dell’ascesa dei Carolingi e si erano stabiliti in Emilia, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo e Marche, entrando spesso in contatto con istituzioni benedettino-farfensi. I signori di Falerone, Mogliano, Monteverde e Brunforte derivano dallo stesso ramo del conte Offone di Mainardo di Villamagna. Nella prima metà del XIII secolo Loro fu oggetto delle mire espansionistiche del figlio del conte Rinaldo di Giberto di Villamagna, Fildesmido da Mogliano, un potente feudatario che possedeva circa 20 castelli arroccati sulle colline della valle del Fiastra e del medio corso del Chienti e del Tenna. Per diventare signore incontrastato dei centri limitrofi, con una astuta politica matrimoniale, fece sposare suo figlio Bonconte con la nobile Monaldesca di Trasmondo di Sant’Angelo, la quale aveva ricevuto in eredità dal padre vaste proprietà nei territori di Mogliano, Monte Ansone (colle di Mogliano in contrada Massa), Gualdo e Loro. Da Bonconte e Monaldesca nacque Rinaldo il Grande, signore di Brunforte. Con atto testamentario del 2 dicembre 1244 Fildesmido divise il feudo tra l’altro figlio Ruggero ed il nipote Rinaldo. I possedimenti nel territorio lorese, che spettavano a Rinaldo per eredità materna, passarono allo zio solo per non creare smembramenti nella divisione territoriale dei due feudi. Ruggero si stabilì a Mogliano mentre Rinaldo a Brunforte, castello che sorgeva tra Sarnano e Terro sulla sommità del Monte Morrone, da cui egli ed i suoi discendenti trassero la denominazione. Sebbene sia possibile che Rinaldo da Brunforte abbia detenuto, fino alla divisione del 1244, i beni loresi che erano stati riscattati dal nonno, ma che gli spettavano per eredità materna, non esiste alcun documento in cui si faccia esplicito riferimento alla sua condizione di signore assoluto del castello. Accanto al priore Diotallevi della chiesa di S. Maria di Piazza, figura infatti un certo domino Gualtiero de Loro, che fino alla seconda metà del XIII secolo detenne una posizione predominante sugli altri signori del castello e che sarebbe da individuare in uno degli esponenti di quei Gualtieri di Villamagna diventati nella seconda metà del XIII secolo signori di Colbuccaro. I signori di Loro, schierati dalla parte dell’imperatore, dopo la morte di Federico II furono costretti a sottomettersi a Fermo, che stava espandendo la sua giurisdizione fino al Fiastra. Il 22 febbraio 1299 furono sciolti formalmente dal vassallaggio 133 vassalli loresi che furono riconosciuti dai priori di Fermo come liberi cittadini. Il 1299 è dunque il terminus post-quem si può ritenere che si sia costituito effettivamente il comune lorese, che tuttavia non poteva dirsi ancora libero per la presenza degli eredi di Fildesmido da Mogliano i quali, sostituitisi ai Gualtieri, continuarono ad esercitarvi una vera e propria signoria fino alla seconda metà del XIV secolo.
Il comune
Nel 1357, Loro venne incluso tra i 60 castelli che componevano il distretto dello stato fermano ed annoverato al 9° posto nell’elenco dei castelli maggiori oltre il Tenna. Il castello, riconosciuto come libero comune con ordinamento proprio, era retto da un podestà eletto dal consiglio comunale di Fermo. Dalla seconda metà del XIV secolo il comune lorese iniziò a riscattare i possedimenti che i signori da Mogliano avevano a Loro. Nonostante ciò questi continuarono a rivestire un ruolo molto importante nelle vicende del castello lorese, almeno fino alla prima metà del XV secolo, da un lato ritardando lo sviluppo istituzionale ed economico del comune e dall’altro bloccando il controllo rivendicato da Fermo, intraprendendo spesso azioni di rivolta per contrastare l’egemonia di Fermo sui castelli del contado. Il 18 dicembre 1403 Loro riconfermava la propria obbedienza a Fermo, ma di lì a poco sarebbe stato trascinato da Ludovico da Mogliano in un duro conflitto. Egli fu uno strenuo sostenitore di Ludovico Migliorati, che papa Alessandro V aveva nominato vicario di Fermo. Al Migliorati successe Francesco Sforza, nominato gonfaloniere della Chiesa, Rettore della Marca e vicario di Fermo, e tutti i castelli tornarono all’obbedienza della chiesa ad eccezione di Mogliano e Loro. Fermo inviò degli ambasciatori dal papa Eugenio IV al fine di riconfermare il mero e misto impero che esercitava sui castelli del contado. Il papa delegò un cancelliere con ampio mandato per piegare i due castelli ribelli che finirono per rimettersi spontaneamente al dominio di Fermo. Nel 1447 la peste si diffuse per tutta la provincia. La situazione fu aggravata dai disagi arrecati dalle periodiche carestie che nella seconda metà del XV secolo imperversavano per tutto il fermano a cui si aggiungevano le frequenti liti territoriali con i paesi confinanti.
Il ‘500
Nella prima metà del XVI secolo Loro visse un periodo di relativa tranquillità nel quale, decaduto il potere degli antichi signori, consolidò i suoi possessi di libero comune. Il territorio lorese era diviso in tre circoscrizioni: la prima andava dalla porta di S.Benedetto (attuale Porta Pia) alla chiesa di S.Basso, nei pressi della chiesa della Madonna delle Grazie, la seconda dalla chiesa di S.Basso fino al di là della strada che conduceva nell’antica Contrada del Leone o Piana del Fiastra che nel XVIII secolo assunse il nome di Contrada Grazie, ed infine la terza dalla fine della seconda al cosiddetto territorio “di S.Benedetto”, esteso forse nelle terre un tempo appartenenti alla corte dell’abbazia di Fiastra. Il centro storico, invece, era diviso in quattro quartieri: S.Benedetto, forse anticamente denominato S.Biagio, dal 1847 assunse il nome di quartiere di Porta Pia, S.Giorgio, S.Francesco, indicato dalla prima metà del ‘700 come quartiere del Girone e S.Lucia. Oltre alle entrate derivanti dalla tassazione su terreni, case e capi di bestiame, il Comune aveva il monopolio su alcuni generi alimentari e servizi pubblici che venivano dati in appalto con un canone annuo. In tutte le cantine del paese, tranne che in quella dei Cappuccini, i priori ordinavano delle verifiche per il rilascio delle bollette che autorizzavano il trasporto della merce; ad esclusione del vino vecchio e dell’acquaticcio, ogni produzione di vino in bottiglia veniva tassata. Fra le attività produttive erano al primo posto l’agricoltura e l’allevamento, mentre le attività artigianali si limitarono sempre ad una produzione destinata al consumo locale. Fermo imponeva numerosi gravami di tipo istituzionale, amministrativo e fiscale che condizionavano fortemente la vita amministrativa e civile dei 48 castelli che formavano in età moderna il suo contado. Nel 1537 Paolo III privò Fermo della giurisdizione sui castelli del contado che passarono sotto il controllo di un governatore pontificio e nel 1538 costituirono il nuovo stato ecclesiastico nel Piceno con sede a Montottone. Nel 1544 lo stesso Paolo III concesse in feudo al nipote Ottavio Farnese i castelli di Mogliano, Petritoli, S.Angelo, Loro e Gualdo. Loro, che nel frattempo aveva raggiunto una certa prosperità economica, tra il 1548 ed il 1549 aumentò il proprio territorio con l’acquisto del castello dell’Appezzana. Il 9 giugno 1569 il breve di Pio V con cui il castello veniva eletto al rango di Terra separandolo dalla giurisdizione di Fermo. Il paese non godé mai di un proprio Statuto, ma semplicemente del suddetto breve di Pio V che nel 1767 andò perduto e venne sostituito da una copia tuttora conservata nell’archivio storico comunale. Iniziava per il castello un periodo di sofferta e contrastata libertà durante il quale Fermo continuò a tutti gli effetti a imporre la sua presenza, fatto che inasprì ancor più l’ostilità dei Loresi verso la città reggente. Dal febbraio 1571 giunsero da Fermo aggravi fiscali per finanziare la spedizione allestita da Pio V contro i Turchi, riversatisi nell’Adriatico dopo aver espugnato Malta, la quale si concluse con la vittoria di Lepanto. La comunità tentò di sottrarsi a queste contribuzioni che diminuivano i fondi destinati ai necessari restauri di vie, ponti e fonti. In seguito alla morte di Pio V, nel 1572, il Lorese Enrico Venturello fu inviato a Roma in qualità di ambasciatore per ottenere la conferma dei privilegi del breve dal nuovo pontefice Gregorio XIII. La popolazione lorese era in quel tempo divisa da vere e proprie faide che contrapponevano le famiglie nobili locali a quelle provenienti da Fermo. Gli sforzi compiuti dalla comunità lorese per mantenere la propria autonomia erano tuttavia destinati ad essere ben presto vanificati. Il preannunciato ritorno del paese sotto il dominio fermano veniva sancito da Gregorio XIII con bolla dell’11 aprile 1575. Ai disagi derivanti dalle precarie condizioni economiche si aggiungevano i dissidi tra il preposto di S. Lucia, chiesa appartenente alla diocesi di Fermo, ed il priore di S. Maria, spettante alla diocesi di Camerino, le due chiese vennero riunificate poi sotto la diocesi fermana. Quello che era essenzialmente un conflitto di natura economica tra le due diocesi finì per avere gravi ripercussioni sulla stessa vita religiosa del paese. Cercarono di colmare il vuoto lasciato dalle istituzioni religiose le Confraternite sorte nella seconda metà del XVI secolo, tra le quali si distingueva per intraprendenza ed impegno quella della SS. Concezione. Oltre a coadiuvare i magistrati del Comune nei provvedimenti per l’assistenza ai poveri, le confraternite organizzavano i pellegrinaggi annuali al convento di S. Liberato alle pendici del Monte Ragnolo e al santuario della Madonna di Loreto e spesso si facevano carico delle spese necessarie per ospitare predicatori, vescovi e legati in visita al paese. Insieme con la comunità dei Minori Cappuccini esse costituirono fino alla prima metà del XIX secolo il principale punto di riferimento della vita spirituale del paese.
Il ‘600 e il ‘700
Il XVII secolo venne segnato principalmente dalle numerose controversie che il Comune ebbe con i religiosi ed i possidenti fermani, che non volevano versare i tributi relativi ai pesi camerali. Tra i nobili fermani presenti in paese primeggiavano per possidenza gli Adami, gli Azzolino, i Francolini, gli Evangelista ed i Marcucci, seguiti dai Pallotta di Caldarola e da una delle più antiche famiglie notabili del paese, i Marchesini. Ampie porzioni del fondiario rustico appartenevano a nobili residenti a Fermo o in castelli vicini che avevano incorporato nelle loro proprietà il godimento di cappellanie laicali e di enfiteusi appartenute ad enti ecclesiastici. Per tutta la prima metà del XVIII secolo il paese dovette soggiacere alle imposizioni richieste da Fermo per la costruzione della Flaminia ed il mantenimento delle truppe austriache e napoletane. Dal 1735 per fronteggiare la scarsezza di grano si costituirono censi presso il Monte Frumentario di Roma istituito da Benedetto XIII. Notevoli e profonde furono le trasformazioni che interessarono l’ordinamento civile. All’interno del consiglio di credenza si affermò una tendenza oligarchica che tendeva a trasformare in ereditarie le successioni delle cariche e che si accompagnava ad un inevitabile e progressivo esautoramento dei compiti del pubblico parlamento. Tornava intanto a farsi sentire l’intolleranza verso il regime dispotico di Fermo. Loro cercò ripetutamente di essere reintegrato del diritto concesso da Pio V di eleggere il podestà del luogo e di poter tornare alle dirette dipendenze della Congregazione del Buon Governo, ma l’oppressione esercitata dalla città sarebbe durata fino al periodo napoleonico. Sul finire del secolo la carestia dei cereali e la crescita dei prezzi del pane e della farina portarono allo scoppio di tumulti popolari a Macerata, Senigallia, Fermo e Fano. Nel marzo del 1797 i francesi occuparono le Marche centro settentrionali e la zona costiera ed il 10 febbraio entrarono in Ancona imponendo alla città una contribuzione di 400.000 lire francesi. Iniziarono le requisizioni delle casse comunali, dei monti di pietà, dei casini di campagna e delle chiese tra cui, come é ben noto, anche della Santa Casa di Loreto, da dove venne asportata la statua della Madonna Nera per la quale il popolo lorese nutriva una particolare devozione. Tra il dicembre del 1797 e il gennaio del 1798 nelle principali città marchigiane i giacobini organizzarono delle municipalità provvisorie che avevano il compito di raccogliere armi, argento e viveri per le truppe francesi. Il 15 febbraio del 1797 il Bonaparte entrò a Macerata con circa 8000 uomini. Anche a Loro, come a Montecchio, Petriolo e Montemilone fu requisito grano per gli invasori. Il secolo si chiudeva in una atmosfera apocalittica; nel 1799 un terribile terremoto rase al suolo il centro storico di Camerino provocando notevoli danni nei paesi limitrofi. Il paese risentiva della difficile situazione economica che nel fermano colpiva soprattutto le classi rurali. La massiccia presenza ecclesiastica e l’eccessivo frazionamento delle proprietà avevano costituito un ostacolo insormontabile per il sorgere della mezzadria, diffusasi solo a partire dal XVIII secolo. I contadini vivevano in condizioni igienico-sanitario del tutto precarie, per la maggior parte denutriti ed ancora tenacemente legati a riti pagani e credenze superstiziose.
L’ ‘800
Nel 1861 le Marche entravano ufficialmente a far parte del Regno d’Italia. Il 12 febbraio 1828 Loro, pur rimanendo sotto la diocesi fermana, passò dalla Delegazione di Fermo ed Ascoli a quella di Macerata e Camerino. Separandosi dal Governo di Mogliano, cui era stato unito dal 1821, divenne una Podesteria soggetta al Governo di S.Ginesio. Il paese ottenne finalmente la facoltà di eleggere podestà del luogo. L’11 febbraio 1831 accorsero a Macerata numerosi rivoluzionari di comuni limitrofi che intendevano abbattere il governo pontificio con una generale sollevazione di popolo; alcuni loresi si unirono ai 120 volontari giunti da Belforte, Caldarola, Cingoli, Civitanova, Fabriano, Montolmo, Morrovalle, Petriolo, S.Ginesio, Sassoferrato e Treia per partire alla volta di Roma. Era il periodo della diffusione delle idee della Giovane Italia ma anche di un interminabile ciclo di carestie che nel 1835 sarebbe culminato in una epidemia di colera. Le rigide restrizioni che regolavano la vita civile dei centri della Marca sembrarono attenuarsi con l’elezione di Pio IX, salito al soglio pontificio il 16 giugno 1846. I Loresi parteciparono ai festeggiamenti tenutisi a Macerata il 15 ed il 16 agosto tra l’entusiasmo generale suscitato dai provvedimenti presi dal nuovo pontefice. Il paese procedeva verso una lenta e difficile ripresa economica che si accompagnava ad un significativo incremento demografico (da 2830 anime nel 1828 a 4000 nel decennio successivo). Il 1° gennaio 1849 Garibaldi arrivò a Macerata, dove il 21 dello stesso mese si tennero le elezioni per la Costituente. Alla notizia che gli Austriaci erano entrati in città per restaurarvi il dominio pontificio, i componenti della guardia civica lorese, fieramente decisi a salvare ad ogni costo l’Albero della Libertà, emblema della rivoluzione repubblicana, si scontrarono con i reazionari del paese ed i contadini da essi sobillati. Nel novembre del 1853 ci fu un generale rialzo dei generi di consumo. Si tessevano intanto nelle Marche le fila di un’ampia trama mazziniana che nel mese di gennaio portò alla costituzione di un reggimento di 690 unità destinate ad appoggiare l’insurrezione che da Milano doveva propagarsi in tutto la penisola. Nel febbraio le speranze dei patrioti svanivano miseramente all’annuncio dei numerosi arresti ordinati dalla polizia pontificia in Ancona. Piuttosto scarse sono le notizie riguardanti gli anni che precedettero l’Unità d’Italia, ma il 22 novembre 1860 le Marche furono ufficialmente annesse al Regno d’Italia. Con dispaccio del 16 luglio 1863 la Regia Prefettura comunicò che si doveva cambiare nome al comune affinché questo non fosse confuso con altri del Regno. Il 14 novembre dello stesso anno il consiglio votò all’unanimità la proposta di aggiungere “Piceno” al nome Loro. Numerosi furono i cambiamenti che riguardarono le proprietà ecclesiastiche e nuovi furono i provvedimenti presi a favore dell’istruzione pubblica. Nel 1861 giungeva in paese la prima maestra per le fanciulle, Letizia Conti. Alle prime due classi elementari istituite nel 1854 (quella di leggere e scrivere, ed aritmetica ed elementi grammaticali, e quella di grammatica, umanità e retorica) si aggiunsero nel 1874 le classi terza e quarta. Moriva il 9 gennaio 1878 Vittorio Emanuele II, lo seguiva a solo un mese di distanza papa Pio IX. Nell’ultimo ventennio del XIX secolo il paese visse un periodo di ripresa economica favorita dalla sensibile amministrazione del Cav. Nicola Marchesini, sindaco dal 1882 al 1912, e dal decisivo contributo dell’avv. Cesare Pallotta, che nel novembre 1889 venne eletto consigliere provinciale per Loro e le altre terre del Mandamento insieme al conte Morichelli di S.Ginesio. Per citare alcuni degli avvenimenti più significativi di questi anni ricordiamo che nel 1884 il Cav. Luigi Cecchi fondò la Cassa di Risparmio e che nel 1885 si impiantò l’ufficio telegrafico e si istituì per opera del Dott. Pacifico Bonfranceschi la Casa di Riposo. I profondi mutamenti che si erano succeduti nel periodo postunitario avevano introdotto all’interno degli ordinamenti comunali una più forte partecipazione delle classi tradizionalmente escluse dalla vita politica. La popolazione, di 3365 abitanti nel 1864 e 3680 nel 1875, all’inizio del XX secolo salì a 4000.
Il ‘900
Nel 1901 venne costituito il Comitato per l’Emigrazione; dai primi sporadici casi verificatisi sin dal 1892, si arrivò nel primo trentennio del ‘900 a registrare la partenza verso le Americhe di circa 150 loresi. Nel 1910 ci fu una terribile epidemia di colera e la produzione di grano risultò bassissima e di scarsa qualità. Nel febbraio dello stesso anno il comune stipulò un contratto con la ditta Biagio Micozzi-Ferri di Macerata per l’impianto della rete telefonica, collegata nel 1911 con Urbisaglia. Il 24 giugno 1915, a distanza di un mese dall’entrata in guerra dell’Italia, il Comune stanziò un fondo di £.300 per le famiglie dei militari loresi partiti per il fronte. Dei 600 arruolati 68 non avrebbero fatto ritorno alle loro case. Dal marzo 1920 il tesseramento, fino ad allora limitato al pane ed alla farina, fu esteso alla pasta, al riso, al granturco, all’olio, ai grassi animali, al burro, al formaggio ed allo zucchero. Nel marzo 1924 si ricostituì il consiglio comunale, che il 18 dello stesso mese conferì la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini. Congiunta alla crisi internazionale del 1929, dal 1930 al 1934 si registrò in tutta Italia una caduta dei prezzi e dei salari che provocò una vera e propria depressione nel settore industriale ed in quello dell’agricoltura, dove nel 1933 si registrarono ben 336.000 casi di disoccupazione. Il 12 settembre 1939 il farmacista Pietro Santini, aderente al Partito socialista, fu costretto a una sostanziosa dose di olio di ricino alla presenza di circa 100 persone. Il 10 giugno 1940 segnava l’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, che costò al paese 22 morti e 6 dispersi. I 105 iscritti al P.N.F. in data novembre 1939 sarebbero diventati 305 nel febbraio 1941. Durante il semestre gennaio-giugno del 1943 i generi di consumo furono di nuovo razionati. Il 25 luglio 1943 il governo Mussolini cadde. L’8 settembre venne comunicata alla radio la notizia dell’armistizio ed il giorno seguente si costituì il Comitato Centrale di Liberazione Nazionale. Numerosi soldati inglesi, detenuti fino ad allora nel campo di Sforzacosta insieme ad americani, slavi e greci, trovarono ospitalità in case coloniche del paese. Il 3 aprile 1944, in seguito al bombardamento di Macerata ad opera di 35 aerei della R.A.F, si verificò un vero e proprio esodo dei civili nei piccoli centri del circondario. Numerosi religiosi trovarono rifugio nel paese, come le suore Salesiane, ospitate nella casa parrocchiale di S. Maria, e le suore dell’Istituto dell’Addolorata di Potenza Picena, accolte nel palazzo Tesei. Già dal maggio 1940 Loro era diventato rifugio di ebrei accolti clandestinamente all’interno dell’Ospedale Civico. Ricordiamo tra di essi l’illustre Prof. Luigi Fantappié, preside dell’Istituto di Alta Matematica dell’Università Regia di Roma. Il paese riuscì a riprendersi con una difficile, ma costante ricostruzione.
Chiara Negromanti Tini
Bibliografia P. Santini, Loro Piceno, Unione Tipografica Operaia, Macerata, 1932. Laura Linfozzi, Tania Pisani (a cura di), Inventario dell’archivio storico comunale di Loro Piceno, Comune di Loro Piceno, 2004. G. Cicconi (a cura di), Notizie storiche di Loro Piceno, Giuffré editore, Milano 1958. Laura Linfozzi, Tania Pisani (a cura di), Loro Piceno, Comune Loro Piceno, Provincia di Macerata, Regione Marche, Comunità Montana dei Monti Azzurri, CD, 2002. M. Mauro, Loro Piceno (Castrum Lauri), in Castelli Rocche Torri Cinte fortificate delle Marche (I Castelli dello Stato di Fermo), Vol. IV, Tomo Secondo, p. 256-271, in “Istituto Italiano dei Castelli”, Adriapress, Ravenna. Paola Consolati, Fabrina Mucci, Claudio Nalli, Loro Piceno, Giuffrè editore, Milano, 1998.
fonte: www.comune.loropiceno.mc.it