Raccontare significa restituire vita, emozione e memoria. E chi meglio di Federico Buffa, voce narrante per eccellenza dello sport e delle sue anime più profonde, può farlo.
Venerdì 21 novembre, alle 21.30, il Teatro Ideale di Servigliano, inaugurato lo scorso maggio, accoglie uno degli appuntamenti più attesi del Festival Storie: “Il mito Diego Armando Maradona”, lo spettacolo che intreccia calcio, poesia e destino, in un racconto dove il genio e la fragilità convivono nello stesso respiro. Buffa sarà accompagnato dalla fisarmonica del maestro Christian Riganelli, tra milonga e nostalgia. I biglietti (15 euro interi, 8 euro ridotti) sono disponibili sul circuito ciaotickets.com (info. 0734.632800)
Buffa, volto e voce inconfondibile di Sky Sport, torna nelle Marche, regione che considera ormai una seconda casa , dopo i numerosi sold out che lo hanno visto protagonista proprio all’interno del Festival Storie. La sua narrazione, sospesa tra giornalismo, teatro e letteratura, continua a conquistare il pubblico con la capacità rara di trasformare lo sport in una forma d’arte. Abbiamo chiesto a Federico Buffa di raccontarci qualcosa di più sul suo modo di scegliere i personaggi, sul legame con il pubblico marchigiano e sul suo percorso di narratore, che da tempo ha varcato i confini del campo per entrare nel cuore delle storie.
Buffa, Diego Armando Maradona è un personaggio che trascende il calcio e diventa mito, contraddizione, poesia. È più difficile restituire la verità dell’uomo o la grandezza del mito?
“L’uomo mi interessa moltissimo, perché è la parte che è sempre stata archiviata in fretta. Non è mai esistito un calciatore così amato dai propri compagni di squadra: tutti quelli che hanno giocato con lui hanno di Diego una visione straordinaria e non vogliono sentirne parlare male. Il ricordo che vogliono conservare è quello di un uomo meraviglioso, generosissimo, che non ha mai fatto pesare a nessuno il fatto di essere Diego e che ha sempre incoraggiato i compagni. In questo è stato il più grande di tutti i tempi”.
Nei suoi racconti intreccia sport, storia e sentimenti umani. Quando sceglie un personaggio, cosa la guida di più: la forza della vicenda o la possibilità di raccontare un’epoca attraverso una vita?
“Certamente entrambe le cose. Maradona nasce nel 1960 all’ospedale di Lanús. Sua madre stava ballando la cumbia fino a poche ore prima del parto e, quando le si rompono le acque in pista, pretende di andare proprio a Lanús perché l’ospedale è intitolato a Eva Perón, suo punto di riferimento: come lei era figlia illegittima. In Argentina esisteva una vera devozione per Eva Perón, e già questo rende la vicenda affascinante. Diego sarà l’unico maschio delle dodici nascite di quella notte, e il primario disse: Che maschio, signora! Farà sicuramente qualcosa di importante!”.
Il Festival Storie la considera ormai un amico di casa. Cosa trova in questo Festival e nel pubblico marchigiano che la spinge a tornare così spesso?
“Penso che l’aspetto più interessante sia l’idea di andare nel cuore delle Marche, in paesi di poche centinaia di abitanti che hanno teatri splendidi ma dove difficilmente si arriva. Non è il caso di Servigliano, ma sono stato in luoghi davvero piccoli, dove è complicato generare interesse. Quando c’è qualcuno che ci riesce, come Fabio Paci, ideatore del Festival, non si può che essere solidali e fare ciò che si può per la causa, con grande piacere. A lui è impossibile dire di no, sa promuovere il territorio in maniera incredibile”.
Lei ha trasformato la cronaca sportiva in teatro, la telecronaca in letteratura orale. Oggi, dopo tanti spettacoli, dove sente di appartenere di più: al giornalismo, alla scena o alla narrazione?
“Alla fine finisci per non appartenere a nessuna (sorride). Diciamo che sono un giornalista che, in questo momento, ha il palcoscenico come attività principale. Le storie sono narrate con uno stile teatrale, sì, ma seguono sempre una logica giornalistica”.
In Italia nessuno racconta lo sport come lei. Si sente il custode di un modo unico di narrare?
“Io non ho questa percezione di me. Le storie ci sono sempre state e sempre ci saranno, poi cambiano gli stili. Sono fortunato perché ho l’opportunità di farlo: trasformare la tua passione nel tuo lavoro è qualcosa che non ha eguali”.
C’è qualche storia che in questo momento sta attirando la sua attenzione?
“Sì, mi piacerebbe moltissimo raccontare la storia del Grande Torino. Mi sa che tra un po’ devo cominciare a scriverla…”.