La storia di Ancona ha conosciuto fasi alterne di espansione e declino. Uno dei momenti che hanno segnato la ripresa della città dopo un lungo periodo di decadenza fu la concessione del porto franco da parte di Clemente XII nel 1732. Da allora ebbe inizio per Ancona un periodo di progresso per l’economia, di incremento demografico e di miglioramento delle comunicazioni che coinvolse anche il resto della Marca Anconetana.
Ancona prima del porto franco
Benché il nome di Ancona nel Medioevo fosse stato associato a quello della Marca, essa non era mai stata l’effettiva “capitale” della provincia adriatica poiché i legati e i rettori pontifici le avevano preferito, come propria residenza, località dell’interno (in particolare, dalla metà del Quattrocento, Macerata) meno esposte a possibili attacchi dal mare. Solo il cardinale Albornoz, nel secolo precedente, si era insediato per qualche tempo ad Ancona restaurandone la rocca dell’Astagno. Il periodo di maggior fortuna per la città portuale, che si definiva “repubblica” anche se accettava la sovranità pontificia, fu quello che va dagli ultimi decenni del Quattrocento all’incorporazione nello Stato della Chiesa (1532). Già nella seconda metà del XVI secolo si avvertivano i sintomi del declino economico, evidenziati dalla diminuzione dei commerci marittimi e dal calo della popolazione all’interno delle mura della città. La crisi dell’economia anconetana fu accentuata dalla dispersione della fiorente colonia ebraica causata dalla politica di papa Paolo IV. Vi era inoltre l’ostilità di Venezia, che non tollerava la concorrenza in Adriatico e cercava di spezzare i tradizionali rapporti commerciali tra Ancona e la repubblica di Ragusa. Perciò, tra la seconda metà del XVI e gli inizi del XVIII secolo, l’economia anconetana si ruralizzò e gli investimenti della classe possidente passarono dai commerci all’agricoltura. In questo lungo periodo Ancona passò dai 12.000 abitanti del 1579 agli 8.000 del 1708, con la perdita netta di un terzo della sua popolazione. Sotto il pontificato di Benedetto XIII (1724-1730) lo stato di crisi della città e del suo porto era conclamato, tanto che il Comune si rivolse al pontefice per ottenere la dichiarazione dello status di porto franco, cioè esentato da dazi doganali, che già possedevano Trieste per l’Impero austriaco e Livorno per il Granducato di Toscana e che aveva molto giovato all’economia di quelle città. Gli anconetani facevano notare al papa che i tradizionali traffici che la loro città aveva stabilito sin dal Medioevo con l’Oriente erano cessati del tutto e che molti mercanti levantini erano partiti a causa dell’aumento delle tariffe doganali nello Stato pontificio. Benedetto XIII tuttavia, pur mostrando la sua comprensione per i problemi della città, esitò e non prese la decisione attesa.
L’istituzione del porto franco
Alla sua ascesa al soglio pontificio Clemente XII (1730-1740), al secolo Lorenzo Corsini, si trovò ad affrontare i problemi finanziari di uno Stato in grave deficit causato da un’economia arretrata e stagnante e da un forte ritardo nelle attività manifatturiere. L’istituzione di un porto franco che favorisse la ripresa del commercio e consentisse di sostenere la concorrenza di Venezia e dell’Impero, fu di nuovo auspicata dagli anconetani e trovò questa volta ascolto da parte del pontefice, preoccupato per la crisi generale dell’economia dello Stato ecclesiastico. Il papa creò così una commissione cardinalizia che studiasse il memoriale inviato nel 1731 dall’Università dei Mercanti di Ancona. Il 14 febbraio 1732, seguendo le conclusioni della commissione favorevoli agli anconetani, Clemente XII firmò il motu proprio con il quale istituiva il porto franco di Ancona, sopprimendo tutte le gabelle e i dazi allora in vigore sulle merci in arrivo e in partenza dallo scalo dorico. Inoltre, per favorire sia il commercio che le manifatture, i mercanti e fabbricanti stranieri che si stabilivano in città avevano diritto all’esenzione da tasse e gabelle per dieci anni.
L’editto del pontefice conseguì subito eccellenti risultati: furono attirate ad Ancona molte società commerciali, furono richiamati mercanti ebrei e levantini che avevano lasciato la città, mentre giunsero operatori commerciali inglesi e francesi e le banchine del porto si affollarono di navi cariche di merci provenienti da lontani scali. Si è stimato che il numero dei navigli in transito ad Ancona dopo l’istituzione del porto franco sia raddoppiato e persino triplicato rispetto al periodo precedente.
Le opere collegate al porto franco
Il miglioramento generale fu così rapido che le autorità cittadine decisero di ampliare il porto. I lavori di trasformazione furono affidati da Clemente XII all’architetto Luigi Vanvitelli. Fu il primo incarico di rilievo affidato al futuro architetto della Reggia di Caserta. Vanvitelli progettò il prolungamento a nord del molo romano e la costruzione a sud dell’isola artificiale del Lazzaretto, la quale doveva avere quattro funzioni: fare da argine al moto ondoso, costituire un collegamento di carattere difensivo con la rocca dell’Astagno, fornire al porto dei depositi di merci (le stanze della parte esterna) e offrire un ricovero per la quarantena dei naviganti affetti da malattie contagiose (nelle sale che affacciavano sul cortile interno). Il progetto si realizzò con grande impegno finanziario, ma non ci si dimenticò di rendere omaggio al benefattore della città con l’edificazione dell’Arco clementino, dedicato al pontefice, di fronte a quello di Traiano.
Oltre al porto le autorità cittadine vollero anche migliorare le vie di comunicazione che servivano la città, in particolare si realizzò una strada che avrebbe collegato Ancona con Roma passando per Jesi e Fabriano e attraversando gli Appennini. Tale arteria fu detta Via Clementina e nelle intenzioni di Clemente XII doveva unire la città dorica con Civitavecchia, cioè i due porti-chiave dello Stato pontificio. Un grande progetto ineterregionale di valorizzazione sul piano turistico e culturale della Via Clementina chiamato “Cleope” è stato da poco varato, con la partecipazione di tredici comuni di Marche e Umbria. Clemente XII è ricordato ad Ancona oltre che dal grande Arco sul porto, dalla maestosa statua che sorge in piazza del Plebiscito e dai busti posti nell’ex palazzo municipale e nella sala della Loggia dei Mercanti.
a cura di Pier Luigi Cavalieri