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Nei pressi di Sassoferrato, nell’anno 295 a.C., si combatté una battaglia decisiva per la storia d’Italia, la battaglia del Sentino, detta anche “delle nazioni” per i tanti popoli italici che vi presero parte.

Lo scontro armato, che avvenne nel contesto della Terza guerra sannitica, vide contrapposti da una parte i Romani – che ne uscirono vincitori – e dall’altra una coalizione di Etruschi, Sanniti, Galli Senoni e Umbri. I Piceni, che occupavano la parte centro-meridionale delle attuali Marche oltre all’Abruzzo settentrionale, non vi presero parte, ma essendo in conflitto con i Galli Senoni, avevano sottoscritto nel 299 a.C. un trattato di alleanza con i Romani, sentendosi da essi meglio tu-telati. 

L’area in cui avvenne la battaglia non è stata ancora identificata con certezza ma doveva essere prossima al fiume Sentino. Poiché la prima fonte scritta che nomina il centro abitato di Sentinum è molto tarda (41 a.C.), non si sa se nel 295 a.C. vi fosse già quel nucleo che avrebbe dato origine alla città romana, la quale si sarebbe sviluppata su un pianoro alla confluenza tra il Sentino e il torrente Marena, nell’attuale località di S. Lucia. I resti di Sentinum sono stati portati alla luce da campagne archeologiche e sono oggi visitabili. Una rievocazione storica della battaglia viene realizzata an-nualmente a Sassoferrato nel mese di luglio.

Gli antefatti

Nella seconda metà del IV sec. a.C. i Romani avevano gradualmente stabilito la propria influenza politica e militare sull’Italia centrale sconfiggendo prima i Latini poi i Sanniti in due guerre suc-cessive, e infine gli Etruschi. Nel 296 a.C. gli indomiti Sanniti raccolsero un grande esercito e, nell’intento di unire le proprie forze a quelle degli Etruschi, si mossero dal Sud della Penisola (oc-cupavano aree della Campania, del Molise e di altre regioni) verso l’Etruria (Toscana-Umbria) dan-do inizio al loro terzo conflitto con Roma. Essi attraversarono i territori dei loro alleati Sabini e Umbri e probabilmente valicarono l’Appennino nei pressi di Gubbio per unire le loro forze a quelle dei Galli Senoni. Giunsero perciò nei pressi della futura Sentinum, nell’ager Gallicus, il territorio dei Galli, insediati allora in tutta la parte nord delle attuali Marche. La saldatura tra le armate dei Sanniti e quelle etrusche era già avvenuta probabilmente nei pressi di Chiusi.

I Romani, consapevoli del pericolo di accerchiamento che correva la loro repubblica, inviarono i consoli Quinto Fabio Massimo Rulliano e Publio Decio Mure, al comando di quattro legioni, a contrastare l’avanzata delle armate della Lega dei popoli italici. Le legioni romane potevano conta-re, oltre che sui loro soldati, sull’appoggio di pochi alleati latini, di un contingente di cavalieri e di un migliaio di valorosi combattenti inviati da una lega di popoli della Campania. 

La battaglia

I Romani comandati dai due consoli si raccolsero ad Aharna (Civitella d’Arno), a dieci chilometri da Perugia, per poi valicare l’Appennino attraverso (si ipotizza) l’impervio passo dello Scheggia. Giunti in prossimità del fiume Sentino si accamparono a circa quattro miglia dalle armate nemiche. Gli alleati italici si ripartirono i compiti: i Sanniti e i Galli avrebbero attaccato direttamente l’esercito romano, mentre Etruschi e Umbri ne avrebbero assaltato gli accampamenti. Ma i Romani, essendo venuti a conoscenza dei loro piani tramite delatori, riuscirono a far allontanare gli Etruschi, richiamati a difendere Chiusi, opportunamente attaccata da forze militari romane che presidiavano le vie di accesso all’Urbe. 

I due eserciti si disposero alla battaglia: l’ala destra dello schieramento italico costituita dai Galli fu fronteggiata dalla quinta e dalla sesta legione di Decio Mure, mentre quella sinistra – i Sanniti – fu affrontata dalla prima e dalla terza legione di Rulliano. I due consoli adottarono diverse tattiche: Rulliano cercò di stancare i nemici mantenendosi sulla difensiva, mentre Decio Mure volle attaccare subito con grande irruenza servendosi della cavalleria, scelta che si rivelò sbagliata perché quest’ultima fu dispersa dai carri trainati dai cavalli messi in campo dagli italici. La fanteria romana iniziò allora a cedere terreno ai nemici e a questo punto Decio Mure compì un gesto estremo detto devotio, con il quale il comandante sacrificava se stesso nell’intento di spingere al combattimento i propri soldati. Dunque Decio Mure, dopo aver lanciato tremende maledizioni sui nemici ed essersi consacrato a Marte e agli dèi inferi, si gettò con il suo cavallo nel punto in cui i Galli combattevano più vigorosamente, trovandovi la morte eroica da lui cercata. La devotio del console ottenne l’effetto sperato perché le truppe romane si riorganizzarono e riuscirono a resistere agli attacchi ne-mici. Fabio Rulliano dal canto suo a quel punto ordinò l’attacco riuscendo a sfondare lo schiera-mento dei Sanniti, che furono sterminati. I Galli non poterono resistere a lungo e molti di essi perse-ro la vita o caddero prigionieri dei Romani. 

Come fatto militare, la battaglia del Sentino ebbe una grande importanza sia per il numero dei sol-dati che vi presero parte che per l’ammontare, davvero impressionante, delle vittime: un’immensa carneficina. Tito Livio riferisce che tra i federati italici i morti furono 25.000 e i prigionieri 8.000, mentre i Romani subirono la perdita complessiva di 8.700 uomini (7.000 soldati di Decio Mure e 1.700 di Rulliano).  

Le conseguenze

Benché la vittoria nella “battaglia delle nazioni” non comportò delle immediate acquisizioni territo-riali da parte di Roma, essa sancì di fatto il graduale imporsi dell’egemonia dell’Urbe su gran parte della Penisola. I popoli sconfitti avrebbero mantenuto a lungo la propria identità ma non avrebbero tentato più di federarsi in funzione antiromana, fino almeno agli anni della guerra sociale (91-88 a.C.). I Sanniti continuarono a combattere nel Sannio e nelle aree vicine fino al 290 a.C., mentre gli Etruschi persero gradualmente il controllo dei loro centri più importanti nel sud dell’Etruria. I Galli Senoni furono sconfitti definitivamente dai Romani nel 283 a.C. e gradualmente assimilati. Non an-dò meglio ai popoli adriatici che erano stati alleati di Roma. I Piceni ad esempio dovettero tollerare che nel loro territorio fossero fondate colonie romane, ed essendo stati di fatto accerchiati dai Ro-mani, tentarono una estrema rivolta che si concluse nel 269-68 a.C. Roma era ormai arbitra del de-stino d’Italia. 

 

a cura di Pierluigi Cavalieri

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