Uno dei luoghi monastici più importanti e suggestivi delle Marche è la grande abbazia camaldolese di Fonte Avellana, che sorge ai piedi del Monte Catria, in territorio di Serra Sant’Abbondio.
Le sue origini sono eremitiche (ciò spiega il nome di “eremo” con il quale è pure nota) e risalgono agli ultimi anni del X secolo. Sono probabilmente legate all’attività riformatrice di S. Romualdo di Ravenna, monaco benedettino fondatore dell’eremo di Camaldoli, il quale frequentò questi luoghi e morì tra il 1023 e il 1027 nell’abbazia di San Salvatore in Valdicastro presso Fabriano.
All’inizio il complesso monastico di Fonte Avellana consisteva in una serie di singole celle poste intorno a una cappella. Verso il 1035 vi giunse Pier Damiani, un chierico nato a Ravenna nel 1007 che aveva studiato a Faenza e a Parma insegnando anche per qualche anno. In quest’ultima città aveva incontrato due monaci che lo avevano indotto a dedicarsi alla vita eremitica proprio a Fonte Avellana. Sulla scia di S. Romualdo, Pier Damiani avrebbe dato un potente impulso alla riforma dei benedettini e di tutta la Chiesa, scrivendo e predicando contro la simonia (compravendita di cariche ecclesiastiche) e i costumi rilassati del clero.
Dopo un periodo trascorso nell’abbazia di Pomposa e in altri cenobi, Pier Damiani fece ritorno a Fonte Avellana dove fu eletto priore. Sotto la sua guida si ampliò la chiesa, che fu dotata di una massiccia torre campana-ria, di un piccolo chiostro e di una cripta, che oggi è la parte più antica del complesso abbaziale. Inoltre nel 1057 egli diede ai suoi confratelli avellaniti una severa regola di vita eremitica.
Nel XII secolo facevano parte dell’eremo ormai trasformato in convento non solo le celle, la sala del Capitolo e il chiostro (presenti in tutti gli edifici monastici) ma anche uno scriptorium, sala destinata alla copiatura dei codici antichi da parte dei monaci amanuensi e una biblioteca, che facevano di Fonte Avellana un importante luogo di trasmissione del sapere. Decisivo era stato il contributo di Pier Damiani nello sviluppo dell’eremo ai piedi del Catria in quanto il monaco ravennate, attraverso la sua straordinaria cultura teologica e giuridica, una trascinante oratoria e un’instancabile attività epistolare, aveva percorso i gradi della carriera ecclesiastica, da sacerdote a cardinale, ed era riuscito, nel corso di soggiorni a Roma e in altre città, e durante missioni diplomatiche, a diventare ascoltato consigliere di pontefici e sovrani. Dopo la sua morte a Faenza nel 1072, fu dichiarato santo e nel 1828, in virtù dei suoi numerosi scritti dottrinali, dottore della Chiesa. Nel canto XXI del Paradiso Dante Alighieri ne delinea la figura facendolo parlare in prima persona dopo aver descritto il luogo in cui sorge(va) l’eremo di Fonte Avellana:
“Tra ’ due liti d’Italia surgon sassi,
[…]
e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale è consecrato un ermo,
che suole esser disposto a sola latria”.
[…] “Quivi
al servigio di Dio mi fe’ sì fermo,
che pur con cibi di liquor d’ulivi
lievemente passava caldi e geli,
contento ne’ pensier contemplativi.
[…]
In quel loco fu’ io Pietro Damiano,
e Pietro Peccator fu’ ne la casa
di Nostra Donna in sul lito adriano.
[…]
Nel 1325 l’eremo di Fonte Avellana divenne un monastero vero e proprio e ispirò la fondazione di nuovi conventi nelle Marche e nelle regioni confinanti, che sarebbero stati chiamati “di S. Colomba”, autonomi dall’ordine camaldolese. A quest’ultimo tuttavia sarebbero stati uniti nel 1569 da papa Pio V.
Oggi il Monastero Camaldolese della Santa Croce di Fonte Avellana (questo il suo nome completo) continua ad essere luogo di raccoglimento e preghiera, ospitando tutto l’anno singole persone e gruppi nella sua foresteria.
a cura di Pier Luigi Cavalieri