L’altopiano plestino o “del Casone”, occupato dalla fine del Pliocene da un grande lago che si estendeva fino ai piani adiacenti (Annifo, Collecroce, Arvello e Popola), è da sempre luogo di convergenza e di diramazione di numerosi itinerari che sulla dorsale appenninica incontrano trasversalmente quelli che collegano l’area adriatica all’area tirrenica attraverso la pianura umbra. E’ una vasta depressione di origine carsico-tettonica frequentata già nel Paleolitico, circa 32.000 anni fa, dai primi sapiens cacciatori-raccoglitori per almeno 6 millenni con brevi, ma ripetute fasi di occupazione. Il sito, scavato nel 1999 nei pressi di Fonte delle Mattinate, ha restituito dei manufatti in selce, come lame e lamelle, bulini e grattatoi, che testimoniano come l’insediamento, posto sulle rive di uno specchio d’acqua, fosse stagionalmente un luogo di approvvigionamento e di lavorazione di strumenti litici e, allo stesso tempo, area di caccia dei grandi mammiferi.
In età protostorica (X-VIII sec. a.C.) si assiste ad una occupazione delle sponde del lago con una serie di villaggi sparsi da parte di una popolazione, i plestini umbri, caratterizzati da una economia legata all’allevamento, alla caccia, alla pesca e alla lavorazione dei prodotti lacustri e del legname e, soprattutto, da una economia di scambio dei prodotti metallurgici e dal controllo della transumanza. In epoca successiva gli insediamenti si spostano ad una quota superiore, mentre le zone di necropoli sono collocate lungo una fascia di terreno ad una certa distanza dal livello di impaludamento, come quella di Taverne.
In romana l’altopiano è citato dalle fonti nel famoso episodio della guerra annibalica per uno scontro avvenuto presso le sponde del lago alcuni giorni dopo la battaglia del Trasimeno (217 a.C.) tra la cavalleria romana guidata da Centenio e truppe cartaginesi al comando di Maarbale.
E’ nel momento di maggior espansione del municipio romano di Plestia, situato sulla sponda sud-occidentale del lago, che ci fu il primo tentativo di reggimentazione delle acque di superficie per un maggiore sfruttamento delle risorse agricole e delle vie di comunicazione. Fu realizzato infatti un monumentale collettore, un emissario artificiale, della lunghezza di circa 1 Km sul margine N-E della piana che andava a sfociare nella profonda gola da dove origina il Chienti. Costruito quasi interamente in galleria, in opera quadrata con conci di travertino e senza l’ausilio di “pozzi di traguardo”, funzionò per almeno 6 secoli (entrò in disuso tra la metà del VI e gli inizi del VII sec. d.C.). L’impaludamento dell’altopiano durò fino al rinascimento quando il territorio passò dall’autorità del comune di Camerino alla signoria dei da’ Varano. Dopo la metà del ‘400 Giulio Cesare Varano fece scavare una grande opera idraulica, oggi nota come Botte dei Varano, allo scopo di farvi confluire, come già avevano pensato i romani, le acque della piana, prosciugando e bonificando definitivamente il territorio circostante. Una fitta rete di canali radiali, la maggior parte tuttora esistenti, aveva quindi la funzione di captare le acque lungo tutta la superficie della piana fino a convergere al canale principale che oggi, dopo gli interventi post-terremoto e la costruzione di una nuova galleria, risulta ancora perfettamente conservato.