Amandola è la porta orientale del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, un territorio di settantamila ettari tra le Marche meridionali e l’Umbria.
Questi sono luoghi circondati da leggende e da un alone di mistero, che furono frequentati sin dal Medioevo da avventurieri, maghi e stregoni, affascinati dal mito della Grotta della Sibilla e del Lago di Pilato e che attraversavano luoghi dai nomi minacciosi come l’Infernaccio o Pizzo del Diavolo. Sono racconti che affascinano ancora oggi, mentre si cerca di penetrarli con ragioni scientifiche e storiche, e che furono vivissimi nel passato, tanto da influenzare la vita degli abitanti di questi monti o da costringere i comuni interessati a stabilire dei provvedimenti per impedire di raggiungere i due luoghi maledetti.
La Sibilla è, secondo alcune leggende, una regina o una maga che nella notte tra il venerdì e il sabato si trasformava con tutta la sua corte in un mostro orrendo e riacquistava il giorno successivo tutta la sua bellezza, mentre secondo altre credenze è una fata benefica che insegnava alle ragazze la filatura e la tessitura.
Per scoprire tutti gli aspetti oggettivi e mitici di questi luoghi, il mutare della vegetazione dalle quote più basse a quelle più elevate, dove si può incontrare anche la stella alpina dell’Appennino, oppure il lupo, il gatto selvatico, il cervo e il camoscio, ogni fine settimana di settembre sono organizzate delle escursioni con guida abilitata, di difficoltà e durata differenti.
Per tutte le informazioni si può visitare il sito www.sibillini.net oppure telefonare alla Casa del Parco di Amandola (tel. 0736.848598).
La visita al centro storico di Amandola arricchisce la conoscenza di questo territorio, facendo scoprire un borgo che, abitato fin dal periodo piceno e interessato dalla centuriazione romana, ebbe un grande impulso a partire dal basso Medioevo, prima per l’incremento delle attività agricole, grazie all’opera dei monaci benedettini, poi per la lavorazione della lana.
La piazza centrale è attraversata da una direttrice viaria che congiunge Comunanza a Sarnano e Macerata e attraversa la Porta San Giacomo, l’unica superstite delle cinque antiche porte di accesso alla cittadina. Una scalinata conduce alla Chiesa del Beato Antonio, la cui struttura originaria del XIV secolo è stata più volte rimaneggiata, ma conserva ancora l’originale portale del 1468.
Molto interessante è la Chiesa di San Francesco, di cui si hanno notizie dal XIII secolo, ma purtroppo non visitabile in quanto è in corso il restauro.
Nel cuore dell’antico nucleo urbano si conserva il Torrione del Podestà, resto della primitiva fortezza costruita nel XIV secolo, e il teatro storico La Fenice. Da qui si raggiungono numerosi edifici quattro-cinquecenteschi e palazzi signorili del settecento. Si conservano ancora molti portoni intagliati dai locali artigiani del legno, documento di una attività tradizionale che è ancora una delle più diffuse.
Ospita, tra l'altro, il Museo Antropogeografico, uno spazio interattivo nel quale immagini e percorsi multimediali permettono di interpretare e conoscere il complesso equilibrio del parco. È una chiave di lettura per imparare a vedere e comprendere i segni del rapporto tra la natura e la presenza dell’uomo, con il suo lavoro e i suoi insediamenti, e le varietà floristiche e faunistiche.
Allontanandosi dal centro storico e dirigendosi verso la Valle del Tenna si può visitare l’Abbazia dei Santi Ruffino e Vitale. La possente struttura architettonica e il poderoso campanile evidenziano il ruolo difensivo della campagna circostante al quale era destinata. La chiesa, ricostruita tra il XII e il XIII secolo con interventi successivi, è di antica fondazione. Lo documentano le decorazioni dell’ipogeo, non visitabile per motivi di sicurezza, che furono rovinate dalle fondazioni della chiesa successiva. La chiesa è a tre navate e conserva degli affreschi recentemente recuperati. Molto interessante è anche la cripta a cinque navatelle, che presenta del materiale di reimpiego.