Poche località delle Marche si identificano con la propria Università come Urbino. In quella che fu nel Rinascimento la città dei Montefeltro, sede di una delle più importanti corti d’Italia, l’Università fu istituita ufficialmente nel 1564. Benché il ducato urbinate fosse assorbito dallo Stato della Chiesa nel 1631, le tradizioni e le istituzioni culturali create e sostenute dai duchi si mantennero a lungo nella città di Raffaello. L’ateneo urbinate riuscì ad attraversare indenne i periodi più difficili della storia fino al 1939, quando vi approdò a insegnare lingua e letteratura francese un giovane critico letterario che si chiamava Carlo Bo (1911-2001), il quale era destinato a reggerne le sorti per molti decenni. Carlo Bo aveva allora solo 27 anni, ma era già noto nel panorama letterario italiano. Era ligure, nativo di Sestri Levante, e aveva compiuto a Genova, presso l’istituto Arecco retto dai Gesuiti, i suoi studi superiori. Nel 1929 si era trasferito a Firenze per frequentarvi la Facoltà di Lettere, ed è proprio nella città toscana che aveva iniziato, già dagli anni dell’università, la sua carriera di critico militante collaborando a importanti riviste come “Frontespizio”, “Letteratura” e “Campo di Marte”. A Firenze Carlo Bo era entrato in contatto con scrittori già molto noti come Giovanni Papini e Piero Bargellini e aveva contribuito a dar vita alla seconda grande stagione della cultura fiorentina del Novecento, caratterizzata da un’impronta cattolica.
Il critico letterario
Nel 1938 aveva pubblicato un libro importante, Letteratura come vita, nel quale aveva definito la poetica dell’ermetismo e aveva enunciato chiaramente i presupposti della sua attività di critico: “la letteratura – scriveva - è una strada, e forse la strada più completa, per la conoscenza di noi stessi, per la vita della nostra coscienza”. E, più oltre: “letteratura e vita sono tutt'e due, e in ugual misura, strumenti di ricerca e quindi di verità: mezzi per raggiungere l'assoluta necessità di sapere qualcosa di noi”. Non erano affermazioni puramente teoriche, ma personalmente vissute, come egli stesso rivela in una pagina del suo Diario aperto e chiuso 1932-1944: "La letteratura è stata davvero per me, da un certo momento, la vita stessa". Durante la Seconda guerra mondiale Carlo Bo trova rifugio prima nella sua Sestri Levante, poi in due località della Lombardia. Finita la guerra si stabilisce per breve tempo a Milano con la scrittrice Marise Ferro (1907-1991), già sposata con Guido Piovene. Si uniranno in matrimonio nel 1963. Tornato al suo insegnamento a Urbino, nel 1947 viene eletto rettore di quella Università, carica che avrebbe tenuto ininterrottamente – caso unico in Italia – per 53 anni, fino al 2001. Intanto continuava la sua attività di docente e di critico facendo conoscere al pubblico italiano autori francesi come Mallarmé, Mauriac e Claudel (e più tardi il teologo Jacques Maritain) e spagnoli come Ortega, Unamuno e Garcia Lorca. In particolare si deve proprio a Carlo Bo la fama di quest’ultimo poeta in Italia. La sua vastissima cultura gli consentiva di proporre anche scrittori e poeti di altri paesi come T.S. Eliot e Kafka, e soprattutto di tenere un occhio sempre vigile sulla letteratura italiana contemporanea, con preferenza per gli autori cattolici. È per fedeltà alla sua ispirazione religiosa che Bo rifiuta in questi anni l’invito di Vittorini, alfiere di una letteratura militante, a collaborare alla sua rivista “Il Politecnico”. La risposta che dà a Vittorini attinge chiaramente alla tradizione cattolica: “Siamo pronti a combattere contro l'ingiustizia, ma qualcosa dentro di noi ci avverte che questa ingiustizia comincia da noi, che il male che vediamo in spaventose forme esteriori ha un'esatta rispondenza nel nostro cuore". Ciò non significa che egli sostenesse una sorta di “disimpegno”, al contrario Bo fu sempre a favore di una letteratura che rispondeva a istanze etiche, spesso con venature religiose, intervenendo sulla realtà.
Il rettore
Dal 1947 in poi Carlo Bo è stato in grado di dedicarsi con grande passione all’insegnamento, alla critica letteraria, alla traduzione e cura di testi letterari francesi e spagnoli e contemporaneamente alle sue funzioni di rettore dell’ateneo urbinate, cui dedicò molte energie. Nel 1951 fondò la Scuola Superiore per interpreti e traduttori, che dal 1968 si sarebbe chiamata IULM e avrebbe avuto sede a Milano. Sotto il rettorato di Carlo Bo l’Università di Urbino conobbe uno straordinario sviluppo grazie alla istituzione di nuove facoltà: nel 1956 Lettere e filosofia (dopo quella di Magistero, già presente da prima della guerra) e poi, via via, Economia e commercio, Scienze politiche, Scienze naturali, Sociologia, Scienze ambientali, Scienze della formazione (già Magistero) e Scienze motorie (già ISEF). Nello stesso tempo la città di Urbino conobbe una significativa crescita grazie ai progetti di nuovi collegi ed edifici dell’architetto Giancarlo de Carlo. Soprattutto nei primi decenni dopo la guerra l’istituzione di nuove facoltà si dovette ai rapporti con le istituzioni locali e nazionali abilmente intessuti dallo stesso rettore, il cui prestigio e la cui autorevolezza andarono sempre crescendo grazie alla sua incessante attività di studioso che si esplicava con saggi come L'eredità di Leopardi (1964); La religione di Serra (1967); Don Mazzolari e altri preti (1979); Lo stile di Maritain (1984); Solitudine e carità (1985). Contemporaneamente Carlo Bo seppe mantenere il contatto con il pubblico dei lettori attraverso una lunga collaborazione con il quotidiano “Il Corriere della sera”, con il settimanale “L’Europeo” e con altre testate. Nei suoi articoli egli si rivelò commentatore sempre vigile di temi di attualità culturale e politica, coltivando un’etica cristiana dell’impegno morale, ideologico e civile. Inoltre Bo fu chiamato a presiedere le giurie di numerosi premi letterari e a redigere numerose prefazioni a volumi di vario genere. Nel 1984 fu nominato dal presidente Pertini senatore a vita. Carlo Bo si spense nel 2001 a Genova all’età di 90 anni, al termine di una vita operosa dedicata alla cultura letteraria e alla “sua” Università urbinate, che due anni dopo sarebbe stata intitolata al suo nome.