Recanati 1890 - Roma 1957
La sua prima fidanzata, Ida, lo lasciò a 23 anni perché, secondo il papà, sarebbe finito a cantare per le strade e tanto valeva “sposare un mendicante”. Dopo un anno, invece, debuttò a Rovigo.
Iniziò così la storia di una delle più belle voci liriche di ogni tempo, quella del tenore Beniamino Gigli, nato a Recanati il 20 marzo 1890.
Era figlio di povera gente, e fece i lavori più umili: falegname, muratore, sarto, poi garzone in una farmacia. Aveva una voce bellissima, era “il canarino” dei pueri cantores del duomo di Recanati, e il padre capì.
Si trasferì a Roma e, grazie a una borsa di studio, riuscì ad entrare a Santa Cecilia per seguire i corsi di un altro marchigiano, Tito Rosati. Nel 1914 sostenne un provino a Parma: “abbiamo finalmente trovato il tenore” scrisse un anonimo esaminatore nella sua scheda. Il 14 ottobre 1914 debuttò così a Rovigo: lì iniziò la sua carriera strepitosa che lo portò trionfalmente in tutto il mondo, ovunque applaudito, osannato, venerato.
La sua ascesa fu trionfale nei teatri italiani, dopo Rovigo a Genova, a Palermo, a Bologna, a Napoli. I critici esaltarono la sua voce, e cominciarono a paragonarlo al grande Caruso. Nel 1918 la Scala lo consacrò nel “Mefistofele” diretto da Toscanini, subito dopo l’America lo reclamò, ed eccolo debuttare al Metropolitan nel gennaio del ’20: la stampa lo definì “il più grande tenore del mondo”, e tale sarà di lì a poco, alla morte di Caruso.
Negli Stati Uniti restò fino al 1932, con guadagni clamorosi per quei tempi, che gli consentirono di arricchirsi e di tornare poi in Italia per stabilirsi a Roma e costruirsi nella sua Recanati una villa da favola.
Il suo cavallo di battaglia, l’”Andrea Chenier”, fu in cartellone al “Met” per ben undici stagioni consecutive. Dagli Usa fu in tournee nei più grandi teatri del mondo, ampliando il suo repertorio, sempre riscuotendo un successo prossimo al delirio.
Aveva una voce forte, dal timbro caldo, appassionante. Di suo metteva un sentimento che spingeva l’espressione fino a toccare il cuore.
Fu sempre vicino alla gente: d’estate era sempre fra gli amici per la sua partita a carte o a bocce, cantava per la gente, era sempre il primo a scendere nelle piazze per iniziative di beneficenza (anni più tardi sua figlia Rina, cantante lirica anche lei scomparsa poco tempo fa, dirà che all’origine del finale dissesto finanziario ci furono sì investimenti sbagliati, ma anche la grande bontà nel dare).
Un personaggio come Gigli non potè essere lontano dal cinema, il fenomeno emergente del tempo, e girò una ventina di films, films da pienone, che lanciarono melodie immortali che cantò tutta l’Italia, da “Ti voglio tanto bene” a “Non ti scordar di me”, da “La canzone dell’amore” a “Solo per te Lucia”, dall’entusiasta “Se vuoi goder la vita” all’immortale “Mamma”.
Cantò quasi fino alla fine, quasi la sua voce avesse deciso di non tramontare mai. Dette l’addio alle scene per motivi di salute con un recital a Washington il 25 maggio 1955. Quando si spense, la mattina del 30 novembre 1957, lo pianse il mondo intero.
Giovanni Martinelli