Ancona, seconda metà del XII secolo
Con un’immagine oleografica tipica dell’Ottocento, il pittore anconetano Francesco Podesti ha immortalato la resistenza anconetana all’assedio delle truppe imperiali del Barbarossa che, agli ordini del vescovo Cristiano di Magonza, nel 1173 fiaccarono ma non vinsero l’eroica città.
L’assedio passò alla storia non solo perché Ancona riuscì a resistere vittoriosamente pur versando un incredibile contributo di sangue, ma per il gesto leggendario di una eroina del popolo, Stamira.
Di lei non si sa niente e probabilmente anche il suo gesto sarebbe stato dimenticato se il contemporaneo Boncompagno da Signa, cattedratico a Bologna, non avesse raccontato, pregato dal collega dell’università bolognese Ugolino Gosia, podestà di Ancona nel 1201, l’epopea dell’assedio nel suo “Liber de obsidione Ancone”.
Ancona, strategico presidio marittimo, fu presa d’assedio a tenaglia da terra dalle truppe imperiali, dal mare dalla flotta veneziana, alleata del Barbarossa.
Pronti all’evenienza, gli anconetani giurarono resistenza fino alla morte. L’assedio durò dall’aprile alla metà di ottobre, e l’esito sarebbe stato scontato se, a fianco dell’eroismo della cittadinanza, non fosse accaduto un gesto eroico e singolare da parte di una anonima popolana.
Si chiamava Stamira (o Stamura, entrambi i nomi sono arrivati fino a noi), era abbastanza giovane ma già vedova. Dagli spalti della difesa, gettarono contro le truppe assedianti una botte piena di pece e resina che, giunta a ridosso del nemico, doveva essere incendiata, ma nessuno ebbe il coraggio di avvicinarsi.
Qui rifulse l’eroismo di Stamira che, dinanzi alla titubanza dei concittadini, uscì precipitandosi verso la botte che squarciò con un colpo di scure per poi appiccare il fuoco che, in un attimo, si propagò intorno. Le fiamme avvolsero una torre mobile e si propagarono ad altre macchine da guerra disposte nell’assedio, gettando nello sconcerto le truppe nemiche.
La circostanza ebbe un valore simbolico, e rincuorò gli animi degli anconetani, fiaccati nello spirito e stretti ormai nella morsa della fame.
Approfittando del momento di disorientamento, gli anconetani fecero una fulminea sortita riuscendo a procurarsi un po’ di viveri.
Scrisse Boncompagno: “Questo combattimento giovò non poco agli assediati, perché condussero dentro la città molti cavalli sì vivi come morti, dei quali nemmeno le intestina gettarono via”.
Un altro gesto eroico caratterizzò l’assedio, e fu quello di un prete, Giovanni da Chiò che, gettatosi in mare durante una tempesta, quindi non visto, riuscì a raggiungere e a tagliare la gomena della nave ammiraglia della flotta d’assedio veneziana, causando l’affondamento, nello scontro, di navi vicine.
Giovanni Martinelli