Dalla presistoria ai Della Rovere
Senigallia (44.000 abitanti), bella cittadina affacciata sull’Adriatico a nord di Ancona, è attraversata dal fiume Misa, il cui ultimo tratto ha svolto per secoli la funzione di porto. La principale risorsa di Senigallia è oggi il turismo balneare, favorito dal fine litorale sabbioso, che le ha procurato l’appellativo di “spiaggia di velluto”.
Gli insediamenti umani nel suo territorio, caratterizzato almeno fino al Mille d.C. dalla presenza di una laguna aperta, risalgono alla preistoria. Lungo le vallate del Misa e del Nevola sono stati rinvenuti numerosi reperti databili all’Età del Ferro. Nella zona delle Saline sono stati trovati resti di un villaggio preistorico, mentre a Montedoro di Scapezzano sono venute alla luce testimonianze di insediamenti legati alla civiltà picena e a quella greco-etrusca.
Una tradizione storiografica vuole che la città sia stata fondata dai Galli Senoni (che le avrebbero dato il nome), tribù celtica che aveva invaso l’Italia del Nord spingendosi fino al fiume Esino. Alcuni storici sostengono invece l’origine etrusca del nome Sena, che indicava un’assemblea, mentre l’aggettivo Gallica sarebbe stato aggiunto in seguito dai Romani.
I Galli giunsero tra il IV e il V secolo a.C. e occuparono tutta la valle del Misa. Nella battaglia di Sentino (Sassoferrato) essi furono sconfitti dai Romani insieme ad altri popoli italici, tuttavia sopravvissero romanizzandosi e Sena divenne, tra il 290 e il 280 a.C., la prima colonia romana sul Mare Adriatico. Durante i lavori di fondazione del teatro La Fenice è stata identificata l’intersezione tra il castro e il decumano. L'area del teatro, oggi musealizzata, conserva anche alcuna tabernae e un'ampia domus signorile. In epoca repubblicana Sena si fece notare per la partecipazione di parecchi suoi soldati alla battaglia del Metauro in cui i Romani sconfissero Asdrubale, fratello di Annibale.
Nel 409 d.C. la città venne saccheggiata dai Visigoti di Alarico diretti verso Roma. Nuove distruzioni giunsero con la terribile guerra greco-gotica, al termine della quale Senigallia rimase compresa nell’area bizantina entrando a far parte, con Ancona, Fano, Pesaro e Rimini, della cosiddetta Pentapoli Marittima, entità amministrativa e militare legata a Ravenna. In epoca longobarda anche Senigallia, per la debolezza dei bizantini, conobbe il dominio dei nuovi invasori. Le complesse vicende dell’VIII secolo portarono alla città nuovi saccheggi da parte degli stessi Longobardi, nel 764 e nel 772. Appena due anni più tardi però essi furono sconfitti per sempre dai Franchi. Al periodo longobardo risale la fondazione di numerose chiese: S. Giovanni (prima cattedrale), S. Martino, S. Maria de Scoptis, S. Croce, S. Gregorio, S. Lazzaro e S. Bartolomeo. Un santo di cui si conservò a lungo il culto fu S. Gaudenzio, sulla cui tomba si recò a pregare anche la regina Teodolinda. Le spoglie del santo si trovano dal 1520 a Ostra, mentre a Senigallia resta il bel sarcofago, di stile bizantino-preromanico.
Nell’anno 800 Carlo Magno, diretto a Roma per esservi incoronato imperatore del Sacro Romano Impero, sosta a Ravenna e passa per Senigallia, il che testimonia l’importanza strategica della città adriatica, posta sulla strada che univa i due centri più importanti dell’Italia del tempo.
In età comunale Senigallia è spesso in lotta con la vicina Jesi e ricerca costantemente l’alleanza di Venezia per far fronte alla minaccia di Ancona. La sua posizione geografica la spinge a sviluppare i commerci marittimi, favoriti anche dalla presenza delle preziose saline all’interno del suo territorio. Non è noto quando sia nata la celebre Fiera di Senigallia, ma sembra che tale manifestazione abbia avuto origine nel XIII secolo dal grande afflusso di pellegrini nella chiesa, già di S. Gregorio, dedicata alla Maddalena, il 22 luglio di ogni anno. Infatti la fiera è detta anche “della Maddalena”.
Sono le sanguinose lotte tra Papato e Impero, nelle quali il Comune si schiera spesso dalla parte perdente, a condurre Senigallia a una serie di devastazioni e saccheggi perpetrati da entrambe le parti in conflitto. La città si trova così privata dei suoi traffici marittimi e persino delle sue mura, più volte ricostruite. In breve, la zona delle Saline, che sono state fonte di ricchezza per i senigagliesi, non più curata, diventa malarica e ciò provoca la fuga di molti abitanti. Dante teme la sua definitiva scomparsa: “Se tu riguardi Luni e Urbisaglia /come sono ite, e come se ne vanno / di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia, / udir come le schiatte si disfanno / non ti parrà nova cosa né forte, / poscia che le cittadi termine hanno” (Par., XVI, vv. 73-78). Senigallia però non si spopolò mai completamente.
All’inizio del Trecento cade sotto il dominio dei Malatesta di Rimini, ma nel 1353 torna sotto il controllo pontificio con il cardinale Egidio Albornoz che sconfigge i Malatesta e decide di costruire proprio a Senigallia una grande rocca che difenda la città, ridotta ormai a soli 250 fumantes (famiglie), contro i signori di Rimini. Tuttavia Malatesta riprendono il controllo di Senigallia nel 1379 e continuano i lavori di costruzione della rocca. Lentamente la città si risolleva dalla grave decadenza del secolo precedente e conosce un periodo di fervore edilizio sotto Sigismondo Pandolfo Malatesta, il quale promuove una ricostruzione in grande stile del centro abitato, che viene ad occupare parte dell’area dell’antica Sena Gallica. Sigismondo stimola anche i commerci e attira nuovi abitanti, inoltre ordina la costruzione degli argini del Misa. Nel 1462, con la sconfitta dei Malatesta da parte di Federico da Montefeltro, cessa per sempre la loro signoria, sostituita nel decennio successivo dal dominio diretto della Chiesa.
La decisione di papa Sisto IV di concedere nel 1474 Senigallia in vicariato al nipote Giovanni della Rovere dà inizio a una nuova signoria. Giovanni ricava lucrosi proventi da diverse condotte militari e ciò gli consente di finanziare grandi opere come la bonifica delle Saline e il completamento della Rocca oggi detta roveresca, edificio che doveva difendere la città dagli assalti provenienti dal mare. Due grandi architetti militari sono ingaggiati per tale opera: Luciano Laurana e Baccio Pontelli. Il primo dà forma al corpo centrale dell’edificio, nel quale ricava appartamenti che accolgano la corte in caso di emergenza, il secondo realizza i quattro massicci torrioni che inglobano la parte residenziale.
Baccio Pontelli progetta anche il convento francescano di S. Maria delle Grazie, la cui costruzione, iniziata nel 1491, sarebbe terminata dopo la morte di Giovanni della Rovere, avvenuta nel 1501. L’edificio è caratterizzato da due bei chiostri. Ad esso, oggi sede del Museo della Mezzadria fondato nel 1978 dallo storico Sergio Anselmi, si affianca la chiesa omonima, resa preziosa dal magnifico quadro della Vergine col Bambino e Santi del Perugino. Fino al 1917 essa conservava anche la celebre Madonna di Senigallia di Piero della Francesca, oggi a Urbino.
Dai Della Rovere al Settecento
Dalla signoria al ducato
I 27 anni della signoria di Giovanni Della Rovere (1474-1501) furono certamente i più felici nella storia di Senigallia. La città era la capitale di un piccolo stato e come tale era stata strutturata nelle opere di difesa (mura e Rocca) e in quelle urbanistiche (costruzione degli argini del Misa, lastricatura delle strade e bonifica della palude delle Saline). A Francesco succede nel 1501 il figlio dodicenne Francesco Maria, che appena un anno più tardi deve fuggire precipitosamente insieme alla madre Giovanna da Montefeltro, reggente della signoria, davanti alle truppe di Cesare Borgia. Il Valentino perpetra proprio a Senigallia quella strage dei signori che lo avevano tradito (Oliverotto Euffreducci da Fermo, Vitellozzo Vitelli ed altri) narrata da Niccolò Machiavelli nel Principe. Il suo dominio su Senigallia dura però meno di un anno.
Con l’ascesa al soglio pontificio di Giuliano della Rovere con il nome di Giulio II, il giovane Francesco Maria, parente del papa, torna in possesso della signoria di Senigallia e nel 1508, alla morte senza eredi dello zio materno Guidubaldo di Montefeltro che lo aveva adottato, diventa duca di Urbino. Il territorio di Senigallia viene così annesso a quello urbinate e l’autorità è rappresentata ora da un luogotenente del duca. Francesco Maria I – che porta la corte a Pesaro nel 1523 – fa sì che proprio nella sua città d’origine si concentri tutto il commercio del grano del ducato di Urbino; gran parte del frumento destinato all’esportazione prende la via di Venezia attraverso il porto di Senigallia. Con la Serenissima i rapporti sono eccellenti poiché il duca è anche comandante delle sue truppe di terraferma. Benché abbia perso il suo ruolo di piccola capitale, Senigallia mostra in questo periodo una notevole vitalità economica, non solo con i commerci, ma anche con le varie “arti” presenti in città e testimoniate dagli Statuti del 1534.
Francesco Maria I muore nel 1538. Il figlio Guidubaldo II nel 1546 porta a compimento la fortificazione della città ideando una cinta muraria pentagonale dotata di cinque baluardi e protesa in parte oltre il fiume Misa per includere il quartiere del Porto. Di fronte a quella Rocca che era stata l’origine del potere dei Della Rovere fa edificare anche il Palazzo del Duca, che deve simboleggiarne il prestigio. I soffitti a cassettoni della nuova residenza ducale sono quasi certamente affrescati da Taddeo Zuccari, con curiosi motivi carnascialeschi. Nella seconda metà del Cinquecento viene riedificata la chiesa di S. Martino e Giuseppe Baviera, “uomo di fiducia” del duca Guidubaldo a Senigallia, fa ornare dall’urbinate Federico Brandani con mirabili stucchi i soffitti del quattrocentesco Palazzetto Baviera, che sorge sulla stessa piazza della Rocca.
A Guidubaldo II, che muore nel 1574 succede Francesco Maria II, che, assecondando i voleri del padre, porta a compimento l’interramento delle Saline, opera che se da una parte toglie al duca un grosso cespite derivante dalla vendita del sale, dall’altra rende più salubre l’aria alla città. L’impresa è celebrata dalla fontana, caratterizzata da quattro anatre, che sorge di fronte al palazzo del Duca.
Il più bell’albergo d’Italia
Nella seconda metà del XVI secolo Senigallia diventa una tappa quasi obbligata per i pellegrini che si recano a Loreto, santuario la cui fama tocca ormai l’intera Europa cattolica. Molti viaggiatori illustri parlano della loro sosta a Senigallia, menzionando quella Locanda della Posta, di proprietà ducale, che un visitatore francese, Nicolas Audebert, definisce “il più bell’albergo che si trovi in Italia e uno dei più grandi”. Disponeva di quaranta camere a due letti e di alcune sale “arredate come se si trattasse di un ricco castello”. Tra il 1605 e il 1608 viene edificata dall’architetto ducale Muzio Oddi la chiesa della Croce, ornata 40 anni più tardi da un pregevole soffitto a cassettoni di legno dorato in perfetta armonia con le preziose decorazioni delle pareti. Sull’altar maggiore viene collocata la Sepoltura di Cristo, capolavoro dell’urbinate Federico Barocci (1535-1612). Il Palazzo Comunale, opera anch’essa di Muzio Oddi, viene edificato nella prima metà del ‘600. La Sala della Giunta è ornata oggi dai ritratti di tutti i duchi di Urbino, fatti eseguire dall’ultimo di essi, Francesco Maria II, che morendo nel 1631 senza eredi, lasciò il ducato (e con esso Senigallia) alla Chiesa, nella persona del pontefice Urbano VIII.
Una città-mercato di rinomanza europea
Subito, nonostante l’opposizione del consiglio comunale, viene creato il ghetto per gli ebrei. A Senigallia vivevano circa 500 ebrei, pari a un settimo della popolazione della città, dediti per lo più ai commerci e al prestito, e perciò di vitale importanza per l’economia cittadina, che molto deve alla celebre Fiera della Maddalena. Il secolo di maggiore sviluppo della Fiera, che si tiene ogni anno per 15 giorni nel mese di luglio salvo impedimenti, è il diciottesimo. Da terra e dal mare giungono mercanti da parecchi stati italiani ed europei, tanto che per tutelarne gli interessi si aprono in città ben 14 consolati, tra cui quelli della lontana Svezia e della Turchia. Con la sua “Fiera franca”, protetta dalle franchigie doganali, che invade tutte le strade della cittadine con ogni sorta di merci, Senigallia acquista una fama europea. Collegata alle esigenze della Fiera è la costruzione dei grandi e ariosi Portici Ercolani (126 arcate), lungo il fiume Misa, che avviene nella seconda metà del Settecento. Di fronte ad essi si fabbricano in periodo di fiera centinaia di botteghe di legno collegate ai Portici con teloni.
Nel secondo Settecento Senigallia conosce la sua “seconda ampliazione” dovuta anche alle necessità della Fiera, mentre vengono completamente ricostruite le chiese di S. Martino, della Maddalena e della Madonna del Carmine. La prima testimonia di un culto molto sentito in questa città di transito e di commerci, essendo S. Martino il patrono dei viaggiatori e degli albergatori (oltre che dei soldati e dei cavalieri). La chiesa è ricca di pregevoli opere d’arte di Palma il Giovane, del Guercino, di Carlo Maratta e altri. La chiesa della Maddalena conserva un quadro di anonimo dell’Immacolata Concezione nel quale compare l’ultimo duca con l’immagine della città ai primi del ‘600. Il Duomo, anch’esso ricco di opere d’arte, subisce grossi interventi di ristrutturazione, per la quinta volta nella sua storia, negli ultimi decenni del Settecento. Accanto ad esso l’ex collegio dei gesuiti (ordine soppresso nel 1773) diviene episcopio. In tempi recenti esso è diventato sede della Pinacoteca diocesana di arte sacra, che ospita dipinti di pregio tra i quali La Madonna del Rosario e San Domenico di Federico Barocci e opere di Andrea Lilli, Ercole Ramazzani e altri.
Notevole è l’attività teatrale a Senigallia: nella prima metà del Settecento vi sono ben 14 teatrini privati. Cinque nobili decidono così di edificare un nuovo grande teatro pubblico, che viene inaugurato nel luglio 1752, in tempo per la Fiera di quell’anno.
a cura di Pier Luigi Cavalieri