L’Ornamento marmoreo che riveste la Santa Casa di Loreto racchiude uno dei luoghi più venerati del mondo cattolico ed è in sé stesso una delle massime espressioni della scultura del XVI secolo in Italia. Tra i capolavori presenti nel santuario lauretano, esso è considerato il più importante, per grandiosità di disegno – 610 metri di sculture – e qualità artistica. Le vicende della sua progettazione ed esecuzione sono complesse; il suo completamento richiese settanta anni e il lavoro di numerosi artisti, per lo più toscani. Tuttavia la sua messa in opera ha una data di inizio ufficiale, che è il 10 novembre 1531, quando fu murato il primo lapis marmoreus alla presenza del governatore di Loreto Giovanni Antonio de Statis e di Antonio da Sangallo, architetto del santuario, mentre un coro di chierici intonava le Litanie della Vergine.
Il progetto di Bramante
All’inizio del Cinquecento la basilica di Loreto, mèta da tempo di un incessante e sempre crescente flusso di pellegrini, era un vasto cantiere. La sua costruzione era iniziata infatti nel 1468 per volontà di papa Paolo II e quando nel 1507 Giulio II aveva inviato a Loreto l’architetto papale Donato Bramante, essa era in buona parte completata in quanto era stata voltata anche la grande cupola. Papa Della Rovere aveva chiesto al grande architetto, nativo di Fermignano, di “compiere cose magne e disegnare molte opere”.
Oltre alla facciata della basilica (che non sarebbe stata realizzata) e alla piazza antistante con il Palazzo Apostolico, il Bramante progettò un rivestimento della Santa Casa che avrebbe dovuto sostituire il muro, ormai fatiscente, su cui era dipinta la Traslazione, che aveva protetto a lungo la Casa di Nazareth. A Bramante era affidato il compito di rappresentare, tramite la scultura, il mistero dell’Incarnazione di Gesù, e ciò non poteva avvenire, a protezione di un edificio ritenuto la dimora stessa della Vergine, se non attraverso un’opera splendida, capace nello stesso tempo di ammaestrare e di meravigliare i fedeli. Il grande artista concepì il rivestimento come un baldacchino, sorretto da colonne e arricchito di molti ornamenti che narravano storie aventi come protagonista o testimone la Madonna: la Natività della Vergine stessa, lo Sposalizio con S. Giuseppe, l’Annunciazione, la Visitazione a S. Elisabetta, la Natività di Gesù, l’Adorazione dei pastori e dei magi, la Dormizione di Maria. Infine, vi doveva essere rappresentata la Traslazione della Santa Casa da Nazareth a Loreto per ministero angelico. Secondo un’iconografia già affermata, tra una storia e l’altra dovevano essere collocate figure di Profeti, che dovevano rappresentare la rispondenza del Nuovo con il Vecchio Testamento, e di Sibille, le quali stavano a simboleggiare l’attesa e il preannuncio del Cristo presso i pagani. La forma artistica prescelta fu il bassorilievo per le storie e la scultura per le statue dei Profeti e delle Sibille. Il materiale scelto fu il marmo, sia perché corrispondeva alla cultura classica del Rinascimento, sia per la sua lunga durata. Tuttavia per la realizzazione dell’opera si dovettero attendere ancora diversi anni, anche a causa degli avvicendamenti degli architetti incaricati dei lavori della basilica e di terribili eventi come il Sacco di Roma.
Andrea Sansovino e Antonio da Sangallo
Bramante restò a Loreto fino al 1509, poi la direzione dei lavori passò a Cristoforo Romano, che diede inizio alla grande impresa nel 1511, ma la svolta nell’esecuzione dell’Ornamento marmoreo si ebbe quando, nel giugno 1513, poco dopo essere stato eletto, papa Leone X affidò la soprintendenza della Fabbrica lauretana all’architetto Andrea Contucci, detto il Sansovino. Il nuovo pontefice, che aveva visto e approvato il modello ligneo del rivestimento marmoreo (opera del fiorentino Antonio Pellegrini), incaricò il Sansovino di provvedere alla sua realizzazione. Si mise in moto così una complessa macchina organizzativa: il Sansovino si recò personalmente a Carrara per scegliere i marmi più adatti, lasciandovi poi un esperto scalpellino per sorvegliare l’escavazione e il successivo imbarco dei blocchi su una nave diretta da Marina di Carrara ad Ancona, da cui sarebbero stati poi trasferiti su dei barconi al Porto di Recanati. Al suo ritorno a Loreto Sansovino inviò in Istria un altro scalpellino che gli avrebbe procurato la pietra necessaria per realizzare la base e le parti meno pregiate dell’Ornamento.
Il 3 maggio del 1514 giunse nel porto di Ancona, dopo aver effettuato il periplo della Penisola, il primo naviglio carico di marmi; per il mese di novembre vi erano pervenute quarantotto “carrate”, che corrispondono all’incirca ad altrettante tonnellate, di marmi.
Fu Sansovino stesso a scolpire i bassorilievi dell’Annunciazione, dell’Adorazione dei pastori e parte dello Sposalizio di Maria, mentre gli altri quadri narrativi furono opera di suoi collaboratori, che avrebbero in seguito acquistato fama, come Baccio Bandinelli e Domenico Aimo. È noto che la lavorazione dei marmi avveniva all’interno della basilica, nello spazio del coro, l’attuale cappella centrale dell’abside. Tuttavia esisteva pure ad Ancona una bottega dove Bandinelli e Aimo scolpivano i marmi appena sbarcati per la Santa Casa.
I bassorilievi del Sansovino, con le armoniche figure che si stagliano su sfondi architettonici, sono considerati tra le sue opere più alte. Sansovino restò a Loreto fino al 1527, impegnato anche in altre opere in città vicine, ma nell’annus horribilis del Sacco di Roma egli si ritirò a vivere nel suo paese natale, Monte San Savino. Nello stesso tempo molti altri artisti lasciarono Loreto e le lavorazioni dei marmi si interruppero.
Una nuova fase iniziò con l’affidamento dei lavori della basilica ad Antonio da Sangallo il Giovane, il quale chiamò come suoi collaboratori nella realizzazione dell’Ornamento Raffaello da Montelupo, Niccolò Tribolo e Aurelio Lombardi. Nel 1531, come si è detto, fu posta la prima pietra del rivestimento, che negli anni successivi fu alacremente realizzato. Nel 1533-34 lo stesso Antonio da Sangallo aggiunse la balaustra che sovrasta la Santa Casa. La grandiosa opera fu completata da Raniero Nerucci nel 1538 e poi dai fratelli L. e G. Lombardo e G.B. e T. Della Porta, che tra gli anni Quaranta e il 1572 eseguirono le statue delle Sibille e dei Profeti collocate nelle nicchie tra una scena e l’altra.
L’Ornamento marmoreo della Santa Casa appariva ora nel suo pieno splendore, tanto che pochi anni dopo, nel 1582, di fronte ad esso un pellegrino d’eccezione, Michel de Montagne, annotò nel suo diario: “Non è facile vedere opere più rare ed eccellenti di questa”.
a cura di Pier Luigi Cavalieri