Dalle origini al 1300
Fermo (37.100 abitanti) sorge in posizione dominante su un colle tufaceo detto Sàbulo affacciato sul Mare Adriatico tra le valli del Tenna e dell’Ete. Il vasto territorio del comune si estende sino al mare circondando Porto S. Giorgio da nord e da sud. La città è sede di tribunale e della più vasta diocesi delle Marche; inoltre vanta antiche tradizioni come centro di studi e ospita corsi di laurea delle Università di Ancona e Macerata. La sua nuova provincia, costituita il 15 giugno 2004, sarà operativa dal 2009 e comprende 40 comuni, con circa 171.000 abitanti.
L’antica storia di Fermo inizia con i Piceni, la cui presenza è attestata sul suo territorio da diverse tombe già nel IX sec. a.C. I Romani occupano Firmum Picenum nel 264 a.C., all’inizio della prima guerra punica, e le conferiscono lo status di colonia. Ancora oggi sullo stemma del Comune compare l’iscrizione Firmum firma Romanorum colonia, cioè “Fermo fedele colonia dei Romani”. Nel 90 a.C. le viene concesso il titolo di municipium. L’epoca romana ha lasciato a Fermo importanti vestigia, tra cui si distinguono le cisterne dell’antico acquedotto, costituite da 30 vaste sale sotterranee al di sotto del centro storico. Altra notevole testimonianza è il teatro di epoca augustea, i cui resti sono visibili sul versante nord del colle Sàbulo (oggi detto Girfalco), nei pressi del duomo. Inoltre il locale Antiquarium conserva statue, cippi, epigrafi di epoca romana e preromana.
L’importanza di Fermo nel I sec. a.C. è in parte dovuta al fatto che la potente famiglia dei Pompei, cui appartiene il triumviro Gneo Pompeo, nemico di Cesare, possiede qui molte terre e ville. Non è un caso che Giulio Cesare la occupi durante la guerra contro Pompeo menzionandola nel suo De Bello Civili. Una strada chiamata ancor oggi Pompeiana unisce il centro storico alla foce del fiume Ete, dove sorgeva il porto-canale della città. Pure degno di rilievo è il fatto che nel 41 a.C. Ottaviano Augusto faccia insediare nel territorio fermano una colonia di veterani delle sue guerre. Fermo segue poi le sorti dell’impero romano sino alla sua caduta. Una tradizione non confermata vuole che la città sia stata distrutta da Alarico nel 405.
Sotto il regno degli Ostrogoti Fermo si riprende grazie alla figlia del re Teodorico, Amalasunta che, a partire dal 526, vi soggiorna a lungo (la capitale Ravenna non dista molto) e promuove la costruzione di nuovi edifici. Risale proprio ai secc. V-VI l’edificazione della prima cattedrale, chiamata S. Maria in Castello, i cui resti sono stati rinvenuti sotto l’attuale duomo. Nuove distruzioni tuttavia giungono con la guerra greco-gotica, quando la città, conquistata dai Bizantini nel 533, subisce nel 545 un duro assedio da parte di Totila, re dei Goti, seguito da una terribile carestia.
Con l’avvento dei Longobardi Fermo entra a far parte del ducato di Spoleto come sede di gastaldato e di comitato, infine di ducato. Si forma così quel vasto spazio territoriale esteso dal fiume Musone fino al Sangro, a sud di Pescara (l’antico Picenum), che avrebbe costituito, sotto i Franchi, la Marca fermana. Dopo la vittoria di Carlo Magno sui Longobardi (774) il ruolo preminente di Fermo continua ad essere riconosciuto. L’imperatore carolingio Lotario I vi fonda nell’825 uno studium a beneficio degli studenti del ducato spoletino, menzionando Fermo tra sole nove città italiane adatte ad essere sede di una tale istituzione scolastica.
Fermo è anche teatro di alcune travagliate vicende dinastiche della fine del IX sec., quando vi trova rifugio la regina Ageltrude dopo la morte del marito Guido di Spoleto, re d’Italia. Arnolfo, re di Germania, pone sotto assedio la città, ma senza riuscire a conquistarla, consentendo così al figlio di Ageltrude Lamberto di ereditare la sempre vacillante corona d’Italia. Giunge qui a proposito la nota definizione di Fermo dello storico Liutprando da Cremona che scrive nella seconda metà del X secolo: Castrum vocabolo et natura firmum (“Castello fermo di nome e di fatto”). La difficoltà di conquistare Fermo è dovuta innanzitutto alla sua posizione elevata nonché alle sempre ben munite fortificazioni del colle Sàbulo. Nei secoli altomedioevali fino a oltre il Mille la città è tutta contenuta entro le mura del cosiddetto “Girone” che circondano la sommità del colle (l’attuale spianata del duomo). All’interno di quello che era chiamato “il Castello”, la chiesa di S. Maria, ampliata nel IX secolo, svolge la funzione di cattedrale, mentre nello stesso secolo si costruiscono il palazzo episcopale e la chiesa di S. Lorenzo.
L’esistenza della Marca (dal tedesco Mark, “zona di confine”) fermana è attestata da diversi documenti ufficiali dei secc. X e dell’XI, mentre dal XII secolo prende forma lo spazio territoriale della Marca di Ancona che assorbe quella di Fermo, la quale nel frattempo è stata privata della sua parte a sud del Tronto, annessa al regno di Napoli dal sovrano normanno Roberto il Guiscardo nel 1080.
In questo periodo sono i sempre influenti vescovi – Uberto, Odalrico, più tardi Presbitero e Adenolfo – a svolgere un ruolo preminente nella gestione del potere politico. Nelle lotte tra guelfi e ghibellini Fermo si schiera contro Federico Barbarossa, il quale le scatena contro le truppe del cancelliere imperiale Cristiano di Magonza, che nel 1176 mettono a ferro e fuoco la città distruggendone anche la cattedrale. Nonostante questo grave episodio, non si può dire che Fermo sia una città guelfa, poiché in realtà si destreggia, non sempre abilmente, tra Chiesa e Impero. Assai significativo è che lo stemma comunale sia equamente quadripartito tra due aquile nere imperiali in campo giallo e due croci bianche in campo rosso.
Il Comune viene istituito a Fermo nel 1185, pochi anni dopo la devastazione degli imperiali, ed ha la sua sede, dal 1238, in un palazzo edificato di fronte alla cattedrale e detto Girfalco, nome che avrebbe presto designato l’intero nucleo antico della città. L’abitato si espande notevolmente lungo le pendici del colle e nel 1240 viene posta la prima pietra della chiesa di S. Francesco. In seguito verranno istituiti il consiglio dei Trecento e la carica di capitano delle Arti.
L’importanza del nuovo Comune è riconosciuta dall’imperatore Ottone IV, che nel 1211 le concede il privilegio di batter moneta, e da Federico II, cui si sottomette nel 1242, che le conferma il dominio sul litorale adriatico dal Potenza al Tronto. Le lotte, anche intestine, tra guelfi e ghibellini si intrecciano nel XIII secolo con le campagne militari contro la rivale Ascoli. Anche verso nord Fermo cerca di mantenere il proprio spazio alleandosi con Venezia contro Ancona.
Rappresentativa dell’importanza del Comune è la Cavalcata dell’Assunta documentata già negli Statuti duecenteschi. È dedicata a S. Maria, protettrice della città e della sua diocesi e si tiene il 15 agosto. Originariamente era una solenne processione religiosa che dalla chiesa di S. Lucia saliva in cattedrale; in seguito vi partecipano i magistrati, i vari notabili, le corporazioni e le delegazioni dei numerosi castelli soggetti alla città, che offrono anche il loro palio. Gli Statuti comunali dettano le norme per lo svolgimento della solennità e delle manifestazioni connesse: la corsa dei cavalli al palio tra le dieci contrade, il giuoco dell’anello, la giostra del toro e la quintana.
Dal 1300 al 1538
Gli ordini religiosi
Domenicani, francescani e agostiniani si insediarono a Fermo nella prima metà del XIII secolo. I primi, in seguito alla predicazione dello stesso S. Domenico in città nel 1214, eressero il tempio a lui dedicato a partire dal 1233. I Frati Minori di S. Francesco fecero il loro ingresso a Fermo nel 1240, mentre gli Eremitani di S. Agostino edificarono il loro convento e la chiesa a partire dal 1250. Annesso alla chiesa vi era la piccola di S. Giovanni Battista, che nel 1423 divenne oratorio di S. Monica. Nei cinque anni successivi l’oratorio sarebbe stato decorato da uno splendido ciclo di affreschi dedicati alle vite di Giovanni il Battista e Giovanni l’Evangelista, legati l’uno all’altro dalla devozione popolare.
Il Trecento
Nella seconda metà del XIII secolo Fermo stabilì, in funzione antianconitana, una salda alleanza con la Repubblica di Venezia. Incominciò in questo periodo l’inurbamento di parecchi nobili del territorio fermano, che diventarono cittadini di Fermo mantenendo però il possesso dei loro castelli e delle loro terre.
Nel Trecento le vicende politiche della città furono assai travagliate a causa dell’alterna prevalenza di guelfi e ghibellini, dalle guerre con Ascoli e con altre città e soprattutto per il carattere effimero delle diverse signorie che cercarono di imporsi, quasi tutte conclusesi con fatti di sangue.
Il partito ghibellino, fiaccato dalla scomparsa di Manfredi nel 1265, riprese il sopravvento in seguito al trasferimento della Sede pontificia ad Avignone. Essendosi sottomessa nel 1327 all’imperatore Ludovico IV di Baviera, sceso in Italia, Fermo fu temporaneamente privata dal papa Giovanni XXII sia della sede vescovile che dei suoi numerosi castelli. Tornata all’obbedienza della S. Sede, la città cadde ben presto sotto la signoria del ghibellino Mercenario da Monteverde, che sarebbe rimasto vittima di una congiura nel 1340, dopo nove anni di dispotico governo.
Non passarono neppure dieci anni che un nuovo signore, Gentile da Mogliano, si impadronì della città. Ma anche la sua signoria, caratterizzata da una guerra contro Ascoli, fu di breve durata. A porvi termine fu il cardinale Egidio Albornoz, inviato dal papa avignonese Innocenzo VI a riportare la Marca sotto il controllo della Chiesa. Dopo un duro assedio alla rocca del Girone, nel 1355 l’Albornoz costrinse Gentile alla resa garantendogli la vita, ma avendo quest’ultimo ripreso a guerreggiare, catturatolo, lo fece decapitare insieme al figlio Ruggero.
Nel 1360 l’Albornoz affidò il governo di Fermo – e l’anno successivo di tutta la Marca – a Giovanni Visconti d’Oleggio. Visconti esercitò il potere con equilibrio dotando la città di Fermo di nuovi edifici. Ma anche il suo governo fu di breve durata perché morì nel 1366. Seguirono dieci anni turbolenti al termine dei quali prese il potere Rinaldo da Monteverde, che per la sua particolare crudeltà si guadagnò il titolo di “secondo Nerone”. Rinaldo trascorse i tre anni della sua signoria impegnato in continue guerre con città (devastò S. Elpidio e Ripatransone) e castelli. Un tradimento gli costò la vita: nel 1380 finì i suoi giorni decapitato in piazza insieme ai due figli.
Il malcontento e infine la reazione contro il tiranno Rinaldo furono anche espressione di un sentimento popolare che condusse all’affermazione del ceto mercantile, rappresentato dai capitani delle Arti, nel governo della città. Tuttavia le signorie non terminarono con Rinaldo: nel 1393 Antonio Aceti, giureconsulto di fede ghibellina, tentò di insignorirsi della città, ma il rettore della Marca Andrea Tomacelli, fratello di papa Bonifacio IX, lo fece desistere dal proposito.
Il Trecento per Fermo è un secolo di grande fioritura artistica. Verso la metà del secolo viene terminata la facciata del Duomo con lo splendido rosone, opera del fermano Giacomo Palmieri, mentre lavorano in città artisti come Andrea da Bologna, Franceschino Ghissi, Jacobello del Fiore, Paolo Veneziano e parecchi altri, le cui opere sono oggi conservate nella ricca Pinacoteca Civica.
La seconda metà del Trecento è funestata a Fermo dall’insorgere a più riprese, fino al 1400, dell’epidemia di peste che colpì in questi anni l’Italia e l’Europa intera.
Il Quattrocento
Se nel XIV secolo le signorie che si erano affermate a Fermo avevano avuto origine dalla nobiltà locale inurbata, nel secolo successivo furono imposte dall’esterno.
Nel 1404, fu un papa appena eletto, Innocenzo VII, a costituire una signoria a Fermo, concedendo la città al nipote Ludovico Migliorati. Tre anni più tardi, morto il pontefice, il Migliorati riuscì a mantenere la signoria alleandosi con il re di Napoli Ladislao e facendo decapitare Antonio Aceti e altri suoi oppositori. Con varie manovre e mantenendosi fedele alla Chiesa Migliorati riuscì a restare al potere fino alla sua morte, nel 1428, ma i suoi figli furono cacciati dalla città, che per breve tempo tornò sotto il controllo diretto della S. Sede.
Un vero ciclone si abbatté su Fermo quando Francesco Sforza, uno dei massimi condottieri italiani dell’epoca, decise di costituire una sua signoria nella debole e divisa Marca. I fermani non poterono opporre resistenza e il 3 gennaio 1434 lo Sforza fece il suo solenne ingresso in città, dopo essere stato nominato dal pontefice Eugenio IV rettore della Marca e vicario perpetuo di Fermo. Impegnato in varie imprese militari, frutto di mutevoli alleanze, Francesco Sforza affidò il governo della città al colto fratello Alessandro, il quale si adoperò per fare di Fermo la degna sede di una corte, operando diversi interventi, come la sistemazione dell’attuale piazza del Popolo. Tuttavia nel 1445, sotto la pressione di eventi militari e di una rivolta popolare, Alessandro fu costretto a lasciare la città, ponendo termine, con la sua fuga, alla signoria sforzesca.
Fu in questo frangente che i fermani, convinti che i continui coinvolgimenti della loro città in eventi bellici di ogni tipo fosse causata dalla rocca del Girfalco, ne attuarono spontaneamente la demolizione insieme a tutti gli edifici che conteneva, eccetto la cattedrale. Nel 1448 le autorità cittadine deliberarono che il Girfalco fosse completamente spianato, affinché non si offrisse più a nessuno la possibilità di erigervi una fortezza. Tornata sotto il controllo della S. Sede, Fermo attraversò un periodo di relativa tranquillità, anche se non mancarono le campagne militari contro città e castelli, tra cui spiccano quelle contro la riottosa Monte S. Pietrangeli, spalleggiata da Ascoli, ma infine semidistrutta nel 1498.
Un nuovo, sanguinoso tentativo di costituire un dominio personale a Fermo fu quello di Oliverotto Euffreducci, che nel 1502 si proclamò signore della città dopo aver fatto strangolare, pugnalare o avvelenare quanti potevano sbarrargli la strada. Oliverotto aveva appreso questi metodi da Cesare Borgia, al cui fianco partecipò all’assedio di Camerino. Passato per qualche tempo dalla parte degli avversari del Borgia, si alleò nuovamente con lui e, fidandosi delle sue promesse, si recò a Senigallia. Come narra Niccolò Machiavelli nel Principe, il Valentino lo fece strangolare insieme a Vitellozzo Vitelli nelle segrete della rocca di Senigallia, facendogli pagare il prezzo del tradimento. Iniziò così il breve periodo del dominio di Cesare Borgia su Fermo che si concluse nel 1504.
Economia e società
Nonostante le turbolenze politiche e i numerosi fatti militari, la città manteneva l’importanza che aveva sin dall’epoca romana. Con le sue 10.000 famiglie (censite dal cardinale Albornoz nel 1357), Fermo era la città più popolosa della Marca; così grande da essere divisa in sei contrade (Castello, Pila, Campolege, S. Bartolomeo, S. Martino, Fiorenza), inoltre esercitava la sua giurisdizione su un vasto territorio, benché dai confini “mobili”, che si estendeva dall’Adriatico all’Appennino e contava diverse decine di castelli (alcuni acquisiti con le armi altri con il denaro), tra i quali il suo Porto, che le consentiva traffici e commerci con Venezia e la Dalmazia.
Dai primi del Duecento poteva battere moneta e manteneva la possibilità di giudicare qualunque causa, anche di sangue; infine la città era sede di uno Studio, riconosciuto nel 1398 da Bonifacio IX, paragonabile a una università. L’economia era prevalentemente agricola, caratterizzata da una notevole produzione di frumento, vino, olio e altre derrate; nelle zone montane del territorio prevalevano invece i prodotti caseari e la lana, mentre il sale proveniva da S. Angelo in Pontano, unico castello fermano a possedere delle saline. Importanti fiere si tenevano a Belmonte Piceno e a S. Claudio al Chienti, antica abbazia a ridosso di Macerata ma feudo del vescovo di Fermo.
Dal 1500 alla sommossa del 1648
Il primo Cinquecento
Nel corso del Medioevo Fermo si era costituita un vasto e popoloso territorio – circa 1000 chilometri quadrati – punteggiato da 48 castelli legati alle sue nobili famiglie da vincoli feudali. Disponeva anche di un gran numero di uomini armati collocati nei diversi castelli e mobilitabili ai rintocchi della “Viola”, la campana del Girfalco. La “Dominante”, come era chiamata dai piccoli centri che da essa dipendevano, derivava il suo potere da un’economia fondata essenzialmente su un’agricoltura favorita dalla particolare fertilità della terra. Intorno al 1500 circa ottanta famiglie della cosiddetta “nobiltà di reggimento” governavano la città e quel contado che veniva definito “stato”. Tuttavia mancava a Fermo la stabilità politica, a causa della breve durata delle sue signorie, spesso interrotte con gravi fatti di sangue.
Questa situazione di quasi anarchia si protrasse anche nella prima metà del Cinquecento. Nel 1502 Oliverotto Euffreducci fece uccidere i maggiorenti della città impadronendosi del potere, ma dopo aver tradito Cesare Borgia, di cui era inizialmente alleato, subì la stessa sorte delle sue vittime. Attirato a Senigallia dal Borgia, fu assassinato il giorno di Capodanno del 1503 insieme a Vitellozzo Vitelli e Paolo Baglioni, e Fermo cadde sotto il dominio del duca Valentino, come quasi tutte le Marche. La morte di papa Alessandro VI nell’agosto di quell’anno pose fine anche al brevissimo dominio di Cesare Borgia. Il potere tornò in mano alle magistrature cittadine, ma nel 1513 un nipote di Oliverotto, Ludovico Euffreducci, riuscì a impadronirsi della città e a mantenerne il controllo finché non si inimicò papa Leone X, il quale nel 1520 gli mandò contro un esercito guidato dal vescovo Nicolò Bonafede, governatore della Marca. Euffreducci morì nella battaglia che si combatté nella piana di Grottazzolina. Le sue giovanili sembianze vivono nel marmo dello splendido monumento funebre eretto da Andrea Sansovino nella chiesa di S. Francesco, a Fermo.
In questi primi decenni del Cinquecento andava prendendo forma l’attuale, bella piazza del Popolo, già di S. Martino: al Palazzo dei Priori, da lungo tempo sede del Comune ma terminato nel 1525, si aggiunsero il Palazzo Apostolico (o del Governatore), iniziato nel 1502 da Oliverotto Euffreducci e terminato nel 1532 (il portale, opera di Girolamo Rainaldi, sarebbe stato aggiunto nel 1583), e il leggiadro Loggiato di San Rocco, costruito nel 1528 e ospitante la piccola chiesa di San Martino, eretta ventitre anni prima quale voto della città contro la peste. Nuovi palazzi – Azzolino e Vitali-Rosati – in stile rinascimentale furono edificati su disegno di Antonio da Sangallo il Giovane.
Si stavano profilando ormai le condizioni per una definitiva annessione di Fermo e del suo contado allo Stato della Chiesa, il che avvenne, dopo vari altri eccidi, nel 1531, quando fu insediato in città un governatore ecclesiatico. I fermani tuttavia dovettero ben presto pentirsi di aver rinunciato alla propria libertà: già nel 1536 papa Paolo III, che vi aveva inviato a governarla il figlio Pier Luigi Farnese, per punirla degli attacchi che aveva portato contro Monte San Pietrangeli, spostò il capoluogo del suo territorio a Montottone, privandola di ogni giurisdizione sui suoi castelli. Nel 1545 furono restituiti a Fermo la funzione di capoluogo, i privilegi e il vessillo; ormai però i castelli si erano sottratti alla sua autorità e bande di fuoriusciti, come quella di Federico de’ Nobili, imperversavano nelle campagne, ulteriormente impoverite dal passaggio delle truppe di Carlo V l’anno successivo.
Nel 1549 il Consiglio cittadino, non sapendo come fronteggiare lo stato di perenne disordine in cui versavano la città e il suo territorio, chiese al Sacro Collegio, riunito per l’elezione del nuovo papa, che da allora in poi il pontefice nominasse come governatore di Fermo un membro della sua famiglia poiché ciò avrebbe fatto desistere chiunque dall’opporsi all’autorità legittima. La richiesta fu accolta e l’anno successivo si insediò nel palazzo del Governatore Giambattista del Monte, nipote del nuovo papa Giulio III.
L’epoca dei governatori ecclesiastici
Dopo un’epoca di convulsioni politiche si annunciava un periodo di stabilità; tuttavia, con la rinuncia alle libertà comunali, Fermo aveva pagato un prezzo molto alto poiché aveva perso ogni autonomia a vantaggio di membri di potenti famiglie romane (Farnese, Boncompagni, Barberini, ecc.) che oltretutto si facevano sostituire da vicegovernatori. Essi erano indipendenti dal rettore della Marca e immediatamente dipendenti dalla Santa Sede. Il nuovo assetto del cosiddetto “Stato di Fermo” si protrasse per 125 anni, fino al 1675.
Lo stretto legame con Roma procurò alla città dei notevoli vantaggi allorché, nel 1585, salì al soglio pontificio il cardinale Felice Peretti, già vescovo di Fermo dal 1571 al ’77, con il nome di Sisto V. Il nuovo papa combatté risolutamente il banditismo che continuava a imperversare nelle campagne del Fermano, accrebbe l’Università ed elevò la diocesi a sede arcivescovile (1589) concedendole come suffraganee le diocesi di Macerata, Ripatransone, San Severino e Montalto (quest’ultima da lui appena istituita). La città, riconoscente, gli dedicò una statua bronzea, opera di Accursio Baldi detto il Sansovino, troneggiante al di sopra della doppia scala del Palazzo dei Priori.
Tra la fine Cinquecento e l’inizio del Seicento fu sistemato nella forma attuale il Palazzo degli Studi, sede dell’Università, che fiancheggia il Palazzo dei Priori. L’edificio è abbellito al centro da un portale sporgente, al di sopra del quale si apre una balconata sormontata a sua volta da un tabernacolo con la statua dell’Assunta. I busti dei quattro papi che hanno beneficiato l’Università – Bonifacio VIII, Eugenio IV, Callisto III e lo stesso Sisto V – sovrastano le finestre del primo piano.
Nel 1587 il veronese Astolfo De Grandis fondò a Fermo la prima tipografia editrice, necessaria a soddisfare le esigenze delle istituzioni culturali locali. Nel 1609 i Gesuiti giunsero in città e vi istituirono il loro collegio nell’ex palazzo Euffreducci, accanto al quale eressero nel 1649 la chiesa di S. Martino, oggi sala adibita a convegni e iniziative culturali.
Nel 1648 accadde un ennesimo, gravissimo fatto di sangue, allorché il governatore Uberto Visconti, accusato di aver fatto incetta di grano, fu linciato dal popolo nel corso di una sommossa, la quale sembra però essere stata ispirata dalla nobiltà fermana, che si vedeva sempre più esautorata dal centralismo romano. La reazione fu nello stesso tempo decisa e clemente: quaranta condanne a morte, ma solo sei effettivamente eseguite.
Dal Seicento all’invasione napoleonica
La cultura fermana tra Cinque e Seicento
Negli ultimi decenni del Cinquecento e nel secolo successivo gli ormai strettissimi rapporti con la capitale e in particolare con la corte pontificia fanno sì che molti uomini di lettere (diremmo oggi intellettuali) formatisi nei collegi e nell’università di Fermo, diventino celebri a Roma. E’ il caso di tre membri della potente famiglia Azzolini, il vescovo Lorenzo (1583-1632) e i cardinali Decio Seniore (1549-87), segretario di papa Sisto V, e Decio Juniore (1623-89). Quest’ultimo in particolare ricoprì l’importante carica di segretario di Stato nel 1667, fu mecenate di artisti e letterati ed entrò in rapporti di stretta amicizia con l’ex regina di Svezia Cristina che, convertitasi al cattolicesimo, si era trasferita a Roma. Medico personale di Cristina di Svezia era un altro fermano, Romolo Spezioli (1642-1723) professore di anatomia all’università di Roma. Sia Decio Azzolini il Giovane che Romolo Spezioli hanno legato il loro nome alla Biblioteca pubblica di Fermo, il primo facendo allestire a sue spese in una sala del palazzo dei Priori le scaffalature lignee per contenere i volumi già donati nel 1671 dal patrizio Paolo Ruffo ai Domenicani e da questi al Comune, il secondo per aver offerto ad essa il prezioso fondo oggi a lui intitolato. Il Fondo Spezioli è una delle più ricche raccolte di libri di carattere medico del Seicento esistenti in Italia. Oltre alle opere scientifiche vi è compreso un prezioso "libro d’ore" miniato del Quattrocento, forse donato a Spezioli dalla regina. La Biblioteca di Fermo fu aperta al pubblico nel 1688.
La cultura locale si espresse nel tardo Cinquecento con la nascita di numerose accademie dai nomi fantasiosi: gli Sciolti, cui fu associato anche Torquato Tasso, i Raffrontati, i Vaganti, gli Avviati e gli Erranti. Oltre a produrre una gran quantità di poesia d’occasione, queste accademie promossero l’erudizione e gli studi storici locali. Tra gli ordini religiosi si distinsero nel campo dell’educazione e della cultura i Gesuiti, cui fu affidata dal 1601 al 1773 l’università, e i Filippini, che possedevano una ricca biblioteca non solo religiosa.
Dalla fine del Seicento al tardo Settecento
Nel 1676 papa Innocenzo XI pose fine alla prassi di nominare il cardinal nipote governatore di Fermo e creò la Congregazione fermana delegandole tale nomina. Questa istituzione sarebbe durata, con la breve interruzione del pontificato di Alessandro VIII (1689-91) fino al 1761, quando fu abolita per decisione di Clemente XIII. La Congregazione era un organo amministrativo, ma anche giudiziario, in quanto fungeva da Corte d’appello per le cause giudiziarie. Il cosiddetto Stato di Fermo, che da essa dipendeva, si estendeva lungo la costa adriatica dal Tenna al Tronto, mentre verso l’interno copriva un’area assai frastagliata che corrispondeva all’incirca all’attuale provincia fermana, con l’esclusione dell’area dei Sibillini e del presidato di Montalto, e l’aggiunta di alcuni comuni del Maceratese (Mogliano, Petriolo, Loro Piceno, Gualdo). Nel 1701 lo Stato di Fermo aveva una popolazione di 53.117 abitanti; mentre il solo comune capoluogo ne aveva solo 8671. La demografia risentiva della depressione economica del secolo precedente.
Nella prima metà del Settecento diversi passaggi di truppe austriache e spagnole, impegnate nelle varie fasi delle guerre di successione (soprattutto quella austriaca del 1740-48), portarono saccheggi e depredazioni nelle campagne fermane.
Le condizioni economiche migliorarono negli ultimi decenni del secolo, grazie soprattutto alla maggiore remunerazione garantita dall’aumento del prezzo del grano, e con esse si incrementò la demografia. Nel 1782 la popolazione di Fermo raggiungeva i 18.000 abitanti (era perciò più che raddoppiata rispetto a 81 anni prima), mentre l’intero Stato fermano, con i suoi cinquanta castelli, toccava gli 80.000 residenti. In città vivevano 76 famiglie nobili, con vasti interessi nei vari castelli.
Ben 2800 erano, nella sola Fermo, i religiosi, secolari e regolari. Le istituzioni religiose erano rappresentate da sette conventi e cinque monasteri, oltre che dal seminario. L’arcivescovo, cui competeva il titolo di principe di Fermo, non era solo un’autorità religiosa ma anche giudiziaria, sia in materia civile che penale. Disponeva inoltre delle ricche proprietà fondiarie e immobiliari della Mensa arcivescovile.
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Cultura e architettura nel Settecento
Alle già molte accademie esistenti a Fermo dal Cinquecento se ne aggiunsero altre nel Settecento, tra cui si distinsero le "colonie" (sedi locali) dell’Arcadia romana e dell’Albrizziana, accademia sorta a Venezia con lo scopo di promuovere la diffusione libraria e la pubblicazione di riviste. Nel 1782 la famiglia Morroni donò alla Biblioteca il grande globo che dà il nome alla Sala del Mappamondo, opera di A. Moroncelli.
Il secondo Settecento vide un grande rinnovamento architettonico della città, soprattutto attraverso l’opera del comasco Pietro Augustoni (1741-1815) cui si devono: l’edificazione dei palazzi Vitali, Nannarini, Erioni, Pelagallo, il convento dei Filippini (oggi Tribunale), la parte superiore dell'ex Seminario e il rifacimento della chiesa del Carmine, oltre al rettilineo che conduce dalla piazza al Girfalco coronato dalla grande edicola con la statua del compatrono S. Savino. A partire dal 1780 fu costruito anche il teatro dell’Aquila, uno dei più grandi delle Marche, su progetto dell’architetto Cosimo Morelli. Allo stesso architetto si deve il disegno della Cattedrale Metropolitana (o Duomo) dedicata all’Assunta e ricostruita in maestose forme neoclassiche, a tre navate, nel 1781-89, dall’architetto Luigi Paglialunga. Dell’edificio medievale furono conservati solo la facciata e l’atrio.
Il periodo napoleonico
L’invasione napoleonica si presentò nel Fermano, come nel resto delle Marche, con un seguito di rapine e saccheggi a cui fu sottoposta la popolazione civile. Qui fu però più forte che altrove il movimento chiamato insorgenza, delle popolazioni, soprattutto contadine, volto alla restaurazione del potere pontificio. Il generale De La Hoz, che le guidava, riuscì a impadronirsi per breve tempo della città nel 1798 stabilendovi una Regia Cesarea Pontificia Reggenza. Tornati i napoleonici, Fermo fu dichiarata capoluogo del Dipartimento del Tronto, divisione amministrativa del Regno Italico istituito nel 1808. Esso comprendeva gli ex "stati" di Fermo, Ascoli e Camerino, con sedici cantoni. Due anni dopo il viceré d’Italia Eugenio di Beauharnais sostò per qualche tempo a Palazzo Nannerini (oggi Sassatelli), tenendovi corte. Il periodo napoleonico si concluse nel 1815 con il ritorno di Fermo e del suo territorio sotto lo Stato della Chiesa.
Dalla Restaurazione alla fine dell’Ottocento
Dopo il 1815 diversi membri della famiglia Bonaparte mantennero proprietà e frequentazioni nella Marca: tra essi Girolamo, ex re di Vestfalia, che risiedette per un breve periodo nel palazzo Nannerini (oggi Sassatelli) di Fermo e si fece costruire una villa a Porto San Giorgio su progetto di Ireneo Aleandri abitandovi saltuariamente.
Con la Restaurazione Fermo, che contava poco più di 15.000 abitanti, divenne capoluogo di una delegazione, mentre dal 1824 fu sede del delegato apostolico il quale aveva autorità sia in campo amministrativo che giudiziario non solo su Fermo, ma anche su Ascoli e Montalto. La nobiltà viveva di rendita agraria, mentre qualche attività artigianale prosperava in città. Lungo la costa si costruivano e riparavano barche, ma fino al 1828 non mancarono incursioni di pirati barbareschi provenienti dall’altra sponda dell’Adriatico. Nel 1826 Fermo perse la sua antica Università – già soppressa in epoca napoleonica a causa dell’esiguo numero di studenti e poi ricostituita per soli due anni – perché la città non disponeva più delle risorse sufficienti a mantenerla. La vita sociale dei ceti popolari ruotava intorno alla piazzetta di S. Lucia nel quartiere Campoleggio, luogo in cui maturarono adesioni agli ideali risorgimentali. Tuttavia i moti del 1848, sfociati nella capitale nella costituzione della Repubblica Romana, trovarono a Fermo un fiero oppositore nell’arcivescovo Filippo De Angelis (1792-1977), il quale fu arrestato nel marzo 1849 e incarcerato ad Ancona. Ma con la caduta della Repubblica, tre mesi più tardi il presule poté far ritorno nella sua sede episcopale. Il patriota fermano Candido Augusto Vecchi (1813-1869), già esule in Francia, partecipò invece all’assemblea costituente della Repubblica Romana e sarebbe stato poi colonnello e stretto collaboratore di Garibaldi. Non mancarono gravi misure punitive verso coloro che avevano sostenuto la Repubblica. L’omicidio di un canonico avvenuto in quel periodo in circostanze poco chiare diede l’occasione di condannare a morte dopo un processo farsa ben cinque imputati, alcuni dei quali individuati come “liberali”. La condanna fu eseguita nel 1855 con la ghigliottina per opera del famoso boia di Roma mastro Titta.
Poiché l’Università era stata soppressa alcuni nobili fermani vollero ricostituire un istituto di studi superiori rifacendosi a esperienze francesi. Fu così che i conti Girolamo e Margherita Montani diedero vita nel 1854 con un loro lascito all’Opera Pia, con il convitto, che sarebbe diventata l’Istituto di Arti e Mestieri a loro intitolato. Si segnalano anche altre iniziative nel campo dell’istruzione, come la creazione di un’Accademia agraria provinciale (1848) dotata di una scuola di agricoltura e zootecnica, di una Scuola di lavoro educativo e di un’Accademia musicale.
Non mancarono nella prima metà dell’Ottocento a Fermo studiosi di rango, come i fratelli archeologi Gaetano e Raffaele De Minicis, collaboratori del Mommsen, Alessandro Maggiori, autore di importanti studi storico-artistici, il filologo e storico Giuseppe Fracassetti (1802-1883), autore delle Notizie storiche della città di Fermo (1841), oltre che di un’imponente edizione annotata in dieci volumi delle Lettere del Petrarca.
Benché ancora nel 1857 molti fermani manifestassero il loro attaccamento alla S. Sede in occasione della visita di Pio IX alla città, ben presto la seconda guerra d’indipendenza avrebbe provocato la fine del governo pontificio nella Marca; ancora una volta il card. De Angelis si oppose intimando al clero della sua diocesi di non riconoscere il nuovo stato unitario, di conseguenza fu di nuovo arrestato e trasferito, questa volta a Torino, dove sarebbe rimasto fino al 1866, quando gli fu consentito di tornare a Fermo.
Dopo l’Unità d’Italia
L’unificazione nazionale, cui molti fermani avevano contribuito, comportò per la città la perdita del suo ruolo di capoluogo provinciale, che fu conferito ad Ascoli Piceno sia perché in un primo tempo si voleva costituire una più ampia provincia comprendente anche il teramano, sia perché il presidio militare ascolano poteva più agevolmente combattere l’agguerrito brigantaggio che aveva in Civitella del Tronto la sua roccaforte. Ma un’altra causa fu, secondo molti storici, l’aperta ostilità verso il Regno d’Italia dell’influente cardinal De Angelis, tra i più accesi sostenitori del potere temporale della Chiesa.
Nel 1861 l’ex collegio dei gesuiti divenne Regio Liceo, uno dei tre delle Marche. Avrebbe avuto illustri allievi e docenti, tra cui Temistocle Calzecchi Onesti (1853-1922), che fondò un osservatorio meteorologico all’interno del Liceo e ideò uno strumento chiamato coherer, importante per la successiva invenzione della radio.
L’Istituto di Arti e Mestieri (più tardi Scuola Industriale per le Marche) diretto dal 1863 al 1895 dall’ingegnere francese Hyppolite Langlois, avrebbe rivestito a lungo un ruolo di prim’ordine nella formazione di tecnici specializzati e imprenditori e nell’impulso dato alle attività industriali nel Centro-sud d’Italia.
Con la soppressione degli enti ecclesiastici la Biblioteca di Fermo si arricchì delle cospicue raccolte librarie dei domenicani, dei filippini, dei francescani e degli agostiniani; più tardi avrebbe acquisito anche i 14.573 volumi di Gaetano De Minicis, diventando una delle più grandi biblioteche marchigiane.
Nel secondo Ottocento tra gli altri studiosi insigni si distinsero il conte Tommaso Salvadori (1835-1923), zoologo e ornitologo, e Giambattista Carducci (1806-1878), autore di studi archeologici, artistici e storici, ma più noto come architetto per il grande intervento urbanistico operato in città con la realizzazione dell'attuale via Roma, con la bella prospettiva sull'edificio ornamentale chiamato Torretta. A lui si devono anche il restauro della chiesa di S. Caterina (1868) e la progettazione della chiesa degli Angeli Custodi (1871). Ma il fermano più illustre tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento fu il medico Augusto Murri (1841-1932), docente dal 1875 all’Università di Bologna, considerato il fondatore della fisiologia italiana. A lui si devono decine di saggi e di studi di impronta positivista considerati ancora oggi fondamentali.
Negli ultimi decenni dell’Ottocento si formava nel Seminario di Fermo Romolo Murri (1870-1944), nativo di Monte San Pietrangeli, il quale, trasferitosi a Roma, avrebbe svolto un vasto lavoro culturale e politico, soprattutto tra gli studenti universitari cattolici (fu tra i fondatori della Fuci), per avvicinare il cattolicesimo alla democrazia. Nel 1901 fu tra i promotori del movimento chiamato Democrazia cristiana, destinato ad avere notevole successo politico nel XX secolo.
Dalla fine dell’Ottocento a oggi
Fermo uscì dal processo di unificazione nazionale con la perdita del capoluogo provinciale, che fu assegnato ad Ascoli Piceno. Mantenne, insieme a diversi distaccamenti di uffici pubblici, una sottoprefettura, che però nel 1926 sarebbe stata soppressa. Tra gli ultimi decenni dell’800 e i primi anni del XXI secolo l’antica città episcopale ha lottato per conservare sul piano religioso e culturale-educativo lo status perduto come centro amministrativo, che le aveva comportato una diminuzione di popolazione e una contrazione delle attività economiche. Nonostante ciò, agli inizi del Novecento Fermo manteneva intatta la bellezza del centro storico e delle campagne. Nel 1913 un viaggiatore inglese, Edward Hutton, così la descriveva nel suo libro Cities of Romagna and Marches: “La piccola città murata con la sua curiosa acropoli è la regina della zona. Nobile, bella, graziosa, è la degna sorella di Siena e Perugia. Quando la scorgete sotto il cielo, coronata dalla sua cattedrale e munita dai suoi possenti bastioni, ne rimanete subito affascinati e non potete liberarvi da questa dolce malìa, o dimenticare le sue splendide bellezze, o la sua stupenda veduta sui monti e sul mare”.
La storia religiosa
Una grande evento, nel 1901, fu l’edificazione del grande santuario della Madonna della Misericordia in stile rinascimentale, opera di Eugenio Fagioli, che custodiva un’immagine della Vergine già lungamente venerata dai fermani.
Fermo continuava ad essere sede metropolitana di una vasta arcidiocesi, comprendente ben 58 comuni. L’esigenza di formazione del clero locale indusse il presule Ercole Attuoni negli anni Trenta alla progettazione di un nuovo Seminario arcivescovile, che sarebbe stato realizzato in forme imponenti nel decennio 1945-55 e inaugurato dal nuovo arcivescovo Norberto Perini. Nel vasto complesso, che risultò presto sovradimensionato, hanno sede ora, oltre al Seminario, diverse istituzioni scolastiche e uffici comunali.
Nel 1966 un giovane prete, don Franco Monterubbianesi, insieme a tredici disabili fondò una comunità in una vecchia villa nella frazione di Capodarco di Fermo. La Comunità di Capodarco sarebbe rapidamente cresciuta fino ad assumere una dimensione nazionale con diverse sedi in tutta Italia. Dal 1994 la Comunità è presieduta da don Vinicio Albanesi. Recentemente sono state fondate nuove sedi in paesi europei ed extraeuropei, con l’obiettivo di dare risposte ai problemi dei poveri e degli emarginati, in particolare dei disabili.
Dal 1928 i Missionari della Consolata di Torino custodiscono il Santuario di S. Maria a Mare, di antichissima fondazione ma di forme moderne, con l’obiettivo di suscitare vocazioni missionarie.
Nel 2004, a fianco del Duomo, fu istituito il ricco Museo Diocesano. Le opere ivi raccolte coprono un arco di tempo che dall’arte paleocristiana giunge fino agli inizi del ‘900, ripercorrendo le diverse fasi costruttive della chiesa, la presenza di insigni vescovi, i rapporti con il papato, la liturgia e la devozione. Va ricordata infine la storica visita di Giovanni Paolo II a Fermo avvenuta il 30 dicembre 1988.
Sanità, istruzione e cultura
Altre sedi di importanti istituzioni realizzate a Fermo nel corso del XX secolo furono l’Ospedale Civile “Augusto Murri”, edificato nel 1933, e il Centro Studi Polizia di Stato, che accoglie figli di appartenenti alle forze dell’ordine provenienti da ogni regione d’Italia per seguire i loro studi a Fermo.
Per quanto riguarda l’istruzione bisogna ricordare che Fermo ottenne, subito dopo l’Unità, di essere sede di uno dei soli tre Licei istituiti nelle Marche. Il Liceo Classico, ospitato nel palazzo presso la chiesa di S. Martino che era già stato Collegio Gesuitico, fu intitolato ad Annibal Caro.
La famosa Scuola di Arti e Mestieri fondata da Ippolito Langlois continuò a crescere per buona parte del ‘900, cambiando il nome in un primo tempo in Scuola Industriale per le Marche e poi in Istituto Tecnico Industriale “Montani” e accogliendo studenti soprattutto dal Centro-Sud d’Italia, tra i quali futuri notissimi dirigenti industriali. Risale al 1939 l’istituzione del Liceo Scientifico, intitolato allo scienziato locale Temistocle Calzecchi-Onesti.
Nel 1968 prese il via il Liceo Musicale di Fermo che dieci anni dopo sarebbe diventata sezione staccata del Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro, ospitata a Palazzo Paccarone. Nel 1998 la sezione fermana conquistò l’autonomia assumendo il nome di Conservatorio “G.B. Pergolesi”. Dal 1994 si tiene in città nel mese di maggio il Concorso Violinistico Internazionale, dedicato al liutaio fermano del XIX secolo Andrea Postacchini.
Fermo era stata fino al primo Ottocento sede di Università e un obiettivo da allora sempre perseguito dai fermani fu quello di tornare ad ospitare un istituto universitario. L’obiettivo fu raggiunto nel 1992 con la costituzione dell’Ente Universitario del Fermano su iniziativa del Comune, della Fondazione Carifermo e di altri enti. Fermo ospita oggi il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Macerata e il Corso di laurea triennale in Ingegneria Gestionale dell’Università Politecnica delle Marche.
Altre importanti istituzioni culturali hanno conosciuto tra fine Novecento e inizi del XXI secolo un radicale rinnovamento. Lo splendido Teatro dell’Aquila, che aveva vissuto i fasti della Belle Epoque, è tornato ad essere il centro di una prestigiosa attività artistica, dopo un lungo restauro che nel 1997 lo ha restituito al suo pubblico.
Anche l’antica e ricchissima Biblioteca Comunale “Romolo Spezioli” ha subito radicali miglioramenti con l’informatizzazione del catalogo, il rinnovo dei locali di consultazione e l’istituzione della Biblioteca Ragazzi avvenute nell’ultimo decennio.
La magnifica, ottocentesca Villa Vitali ospita oggi i Musei Scientifici di Fermo: il Museo Polare Etnografico “Silvio Zavatti”, unico in Italia a conservare reperti di popoli eschimesi; il Museo Ornitologico “Tommaso Salvadori”, importante collezione privata di uccelli imbalsamati; la Sala della meteorite, che conserva l’esemplare caduto a Fermo il 25 settembre 1996.
Una città in crescita
Benché Fermo si sia caratterizzata per una industrializzazione lenta rispetto ad altre aree delle Marche, il secondo Novecento ha visto un imponente sviluppo della città, con l’edificazione di nuovi quartieri e la crescita demografica e turistica delle due frazioni rivierasche di Lido di Fermo e Marina Palmense.
Profondamente legata alla storia cittadina sono la Cavalcata e il Palio dell’Assunta, tornati a rivivere, dopo la soppressione post-unitaria, nel 1982. Da segnalare inoltre “Tipicità”, manifestazione nata nel 1992 che si presenta come la più completa vetrina dei prodotti tipici delle Marche.
Infine, a coronamento di un lungo iter culturale, politico e legislativo, è stata nuovamente istituita con legge approvata dal Senato il 19 maggio 2004, la Provincia di Fermo. Divenuta operativa nel 2009, essa comprende 40 comuni, per un totale di 180.000 abitanti.
a cura di Pier Luigi Cavalieri