Il collegamento, ovviamente, è in larga misura ipotetico e si basa sulla attestazione fornita da un documento, datato 1039, di donazione all’abbazia di Farfa dei diritti di proprietà goduti da un tal Longino; nell’elenco dei beni donati Cossignano appare ben due volte: la prima come castellum Martae, quod vocatur Cosenianum; la seconda come castello de Marte quod vocatur Cosenianum.
Una delle spiegazioni possibili è che il tabellio, ossia il notaio redattore dell’atto, scrivendo sotto dettatura o copiando da un elenco redatto in lingua volgare, abbia la prima volta tradotto in latino una locuzione volgare (“castello de Marte”), che invece nel seguito del documento preferì lasciare nella forma in cui essa gli veniva dettata.
Questa ipotesi, suggerita da Mariano Malavolta, vorrebbe dare una qualche consistenza alla lettura degli eruditi cultori di storia locale come Antonio Vicione, per il quale il nome era indizio sufficiente dell’esistenza “di un sacello di Marte” (1828), o Alceo Speranza, secondo cui castellum Martis “fu l’antico nome piceno della terra, rimesso in auge durante la guerra sociale”, alla quale essa avrebbe preso parte, negli anni 91-89 a.C., “al fianco degli Ascolani ribelli all’autorità di Roma” (1900).
D’altra parte un’eco di queste erudite fantasie deve riconoscersi nel motto ferax et ferox, desunto dal poema ovidiano, che sembrerebbe elaborato in clima di erudito concettismo seicentesco, ma che di fatto appare in alcuni stampati soltanto nel 1929 a “commento” dello stemma civico: esso riassume infatti in una formula, efficace quanto originale e concisa, quei caratteri originari e per così dire “fondanti” per i quali la terra di Cossignano poteva vantare, già nei versi del poema del Sanseverino (1575) una sua indiscussa nobilitas, che può spiegarsi con la locale convinzione di un’antichissima origine romana, o addirittura preromana, dell’insediamento.
La qualifica di ferax evoca infatti la feracitas, ossia la fertilità del territorio, ab immemorabili sede di attività agricole (postulate anche dall’esistenza storica del fundus Cossinianus, che ha originato il nome prediale Cosenianum), ed è unita in efficace allitterazione alla qualifica di ferox, che ricorda la fierezza (ma anche, se si vuole, la ferocia) degli abitanti e la loro atavica convinzione di appartenere ad una nobile stirpe guerriera.
Un riscontro di questo originario carattere combattivo della più volte millenaria storia della comunità è offerto dai ricchi corredi funebri (risalenti almeno al VI secolo a.C.) di guerrieri picenti, restituiti in grande abbondanza dalle necropoli delle contrade Colle e Fiorano, e ancora dall’appartenenza del territorio cossignanese ad una delle aree in cui fu più intenso il reclutamento degli eserciti della repubblica imperiale (si pensi alle clientele di Pompeo Strabone, espugnatore della ribelle Asculum, nonché padre di Pompeo Magno), e ben si accorda con il richiamo al culto di Mars Cyprius, recentemente evocato da Tiziana Capriotti (2004), che rende ancor più plausibile l’esistenza di un pagus Martius, attribuito al territorio della colonia sullana di Cupra già nella ricognizione mommseniana del patrimonio epigrafico della regione.
L’antica vocazione verso questa militare fierezza appare infine riconfermata, in questa prospettiva di recupero della validità della locale memoria culturale, dalla scelta di S. Giorgio (un santo soldato) come patrono e “avvocato” della comunità, scelta sancita dagli statuti riformati nel 1581 e dati alle stampe nel 1584, ma attestata per i secoli precedenti dall’effettiva esistenza di una chiesa di S. Giorgio sotto la porta di Levante, poi divenuta “cura” nella chiesa prepositurale di S. Maria.
Roberto De Angelis