Le Marche prima di Roma
Secondo diversi storici antichi i Piceni erano genti sabine penetrate nella parte meridionale delle Marche in seguito a un ver sacrum, cioè a una “primavera sacra”, in cui un gruppo di giovani si allontanavano dai luoghi di nascita per andare alla ricerca di un nuovo territorio in cui insediarsi. Li avrebbe guidati un picchio (in latino picus), uccello sacro a Marte, di qui il loro nome. Naturalmente si tratta di un racconto leggendario. Più recenti spiegazioni etimologiche fanno riferimento alla pix, nome con cui le popolazioni illiriche designavano l’ambra, la preziosa resina fossile trovata spesso nelle tombe picene. In tal caso i Piceni sarebbero giunti sulle nostre coste dalla penisola balcanica.
Difficile definire l’epoca di tale migrazione o dalla Sabina o da Oltreadriatico, che viene collocata tra il IX e il III sec. a.C. L’area che avrebbero occupato gradualmente i discendenti dei giovani guidati dal picchio era compresa tra il fiume Esino a nord e il Pescara a sud. I Piceni, forti di una popolazione di 360.000 unità secondo Plinio, si organizzarono in tribù autosufficienti federate intorno al loro centro principale, che era Ascoli.
I Piceni, che le fonti antiche chiamano anche Picenti, si trovarono a combattere verso nord con i Galli Senoni, insediatisi fino a Sena Gallica, l’attuale Senigallia. Intorno al 300 a.C. si fece però minacciosa sul versante adriatico dell’Italia la potenza di Roma. Contro di essa i Galli si allearono con Umbri, Etruschi e Sanniti, mentre i Piceni, spesso in conflitto con i Senoni a nord e con i Pretuzi a sud, trovarono più vantaggiosa l’alleanza con la città di Romolo, che poté contare anche sul sostegno dei Camerti Umbri. In una grande battaglia combattuta a Sentinum (oggi Sassoferrato), in territorio allora umbro, nel 295 a.C., i Romani ebbero la meglio sui popoli della coalizione, ma questo epico fatto d’armi avrebbe segnato il destino anche dei Piceni stessi, perché Roma occupò subito dopo i territori dei Senoni a nord, dei Pretuzi a sud e dei Sabini a ovest, circondando completamente la popolazione alleata. Ben presto dunque l’alleanza con i Romani vide i Piceni in posizione di subalternità. Numerose furono le violazioni del loro territorio, la più grave delle quali fu lo stanziamento di due legioni romane a Fermo nel 280. Sono queste le premesse che portarono alla ribellione di Ascoli e del Piceno contro il dominio di Roma nel 269 a.C.
La prima guerra dei Piceni contro Roma (269-267)
Per sedare la rivolta che, partita da Ascoli, aveva incendiato il Piceno, i Romani inviarono nella regione adriatica i due consoli Appio Claudio e Publio Sempronio Sofo. Quest’ultimo assediò e conquistò Camerino per dirigersi poi verso il mare, puntando prima verso Fermo e poi verso Ascoli stessa, cuore della “nazione” picena. La battaglia tra le forze romane, che consistevano probabilmente in due legioni (circa 20.000 uomini) e gli ascolani ebbe luogo nella piana tra Spinetoli e Monteprandone e si concluse con la prevalenza della armi romane. Narrano le fonti antiche che la vittoria dei Quiriti fu propiziata da un violento terremoto, che lo stesso console Sofo attribuì a una volontà divina favorevole al suo esercito, riuscendo a convincere le proprie truppe in tal senso. Sofo ebbe gli onori del trionfo a Roma e, per esprimere la propria gratitudine alla terra che aveva tremato, fece erigere sulla Via Sacra un tempietto alla dea Tellure. Benché Ascoli fosse stata risparmiata dalla distruzione e anzi considerata ancora formalmente alleata nonostante la ribellione, il Piceno era ormai saldamente sotto il dominio di Roma. Quanto ad Ascoli, al pari di Ancona, altra “alleata” di Roma, si trovava circondata o da colonie romane come Fermo, o dall’ager publicus, cioè dalle terre che Roma concedeva alle famiglie nobili sue alleate. Inoltre si stima che una buona metà delle terre dei Piceni furono loro sottratte dai Romani e assegnate ai veterani. Gli ex proprietari furono deportati nell’area tra Paestum e la foce del fiume Sele che da allora fu chiamata Agro Picentino. Per quasi due secoli il rapporto tra Ascoli e il Piceno da una parte e la potenza di Roma dall’altra continuò ad essere sbilanciato a favore di quest’ultima, anzi la situazione andò peggiorando finché nell’89 a.C. scoppiò una nuova rivolta contro Roma.
Ascoli nella guerra sociale (91-88 a.C.)
La ribellione di Ascoli non fu isolata, ma coinvolse parecchi popoli italici – tra essi i Sanniti – formalmente socii, cioè amici, di Roma, ma in realtà ad essa sottoposti, i quali combatterono strenuamente per oltre due anni la guerra che sarebbe stata detta “sociale”. Il conflitto maturò in seguito alla notizia dell’assassinio nell’Urbe di Marco Livio Druso, tribuno della plebe che si era battuto perché la cittadinanza romana fosse estesa a tutti gli italici. Il Senato ebbe notizia che Ascoli stava tessendo alleanze con altri popoli della Penisola e inviò pertanto nella città del Tronto il pretore Caio Servilio. Quest’ultimo si recò con i suoi soldati all’interno dell’anfiteatro in cui il popolo ascolano era riunito con i suoi magistrati per assistere a dei giochi, prendendovi la parola e proferendo esplicite minacce. La reazione degli ascolani fu assai violenta: Caio Servilio e il suo seguito furono massacrati; stessa sorte fu riservata a tutti i Romani presenti dentro le mura della città. Fu guerra aperta: si formò una Lega italica al cui comando furono designati due consoli coadiuvati da luogotenenti, tra i quali l’ascolano Caio Vidacilio e due altri uomini legati ad Ascoli: Publio Ventidio e Tito Lafrenio. I confederati della Lega stabilirono la loro capitale a Corfinio e coniarono persino monete che recavano, per la prima volta, il nome Italia.
E’ singolare il fatto che dall’89 uno dei due consoli di Roma era Pompeo Strabone, proveniente proprio dal Piceno, dove poteva contare su vaste proprietà, e che lui stesso cingesse d’assedio Ascoli. Caio Vidacilio riuscì a rompere l’assedio di Strabone penetrando in città e prendendo parte attiva alla sua resistenza, ma dopo oltre due anni, le forze preponderanti dei Romani ne provocarono la caduta e Vidacilio si tolse la vita. La vendetta dei Romani fu terribile: i capi della rivolta furono trucidati e molti ascolani furono deportati. La guerra sociale terminò nell’88 a.C. con la resa dei Sanniti.
a cura di Pier Luigi Cavalieri