Dai Piceni al Trecento
Con i suoi quasi 60.000 abitanti Ascoli Piceno è oggi la terza città delle Marche, dopo Ancona e Pesaro; per l’integrità del suo centro medioevale, la nobiltà dei suoi edifici storici e la ricchezza delle opere d’arte che possiede è una delle maggiori mète turistiche della regione.
Il centro storico di Ascoli deve il suo aspetto così armonico e caratteristico al travertino, pietra locale che, fin dalle origini, è stato il materiale principale nella costruzione di case, palazzi, edifici pubblici, chiese, pavimentazioni.
La parte storica di Ascoli si trova alla confluenza del torrente Castellano con il fiume Tronto, corsi d’acqua che, circondandola su tre lati, le hanno sempre garantito una protezione naturale.
Le origini della città sono sconosciute, ma sembra che l’ascolano fosse popolato già nell’epoca neo-eneolitica da popolazioni italiche, soprattutto sabine. Fu la fusione di diverse genti a dar vita alla popolazione dei Piceni, che fecero di Ascoli la loro capitale. Della civiltà picena che vi fiorì restano oggi parecchi reperti provenienti dagli scavi effettuati sul territorio – vasellame, armi, monili – esposti nel locale Museo Archeologico. Asculum entrò in contatto con Roma attraverso i commerci che avvenivano lungo il percorso della futura via Salaria, già prima della conquista romana. Questa importantissima via, che collegava il versante tirrenico con quello adriatico, aveva per i Romani grande rilevanza strategica e militare. Perciò la conquista di Ascoli per essi divenne una necessità e la attuarono nel 268 a.C., anche se alla città fu concessa una relativa autonomia come civitas foederata.
Nel 91 a.C. la capitale dei Piceni è teatro di una sanguinosa rivolta che segna l’inizio della guerra sociale, combattuta da vari popoli italici per il diritto alla cittadinanza romana. Dopo l’uccisione del proconsole Quinto Caio Servilio per mano degli ascolani, Roma invia un esercito comandato da Gneo Pompeo Stradone (il padre del più noto Pompeo); la difesa è strenua e la città capitola solo nell’89 a.C., dopo un assedio durato due anni. Tuttavia ottiene quello che aveva chiesto – la cittadinanza romana – e da allora seguirà le sorti della repubblica e dell’impero di Roma fino alla sua caduta.
Uno dei prigionieri condotti a Roma dopo la caduta di Ascoli fu un ragazzo di nome Ventidio Basso che riuscì a seguire la carriera militare fino a diventare amico di Giulio Cesare. A Roma Ventidio ricoprì le più alte cariche pubbliche fino a quella di console. Nel 39 a.C. sconfisse i temibili Parti in un’importante battaglia e l’anno successivo celebrò a Roma il suo trionfo.
Ad Ascoli sono numerose sono le testimonianze di epoca romana: la porta Gemina, con resti di mura in opus reticulatum, il teatro, ancora oggi oggetto di scavo, i resti dell’anfiteatro (sotto l’attuale piazza S. Tommaso), due templi pagani, nel Medioevo trasformati nelle chiese di S. Gregorio Magno e di S. Venanzio. Infine le testimonianze più visibili: il ponte augusteo sul Tronto (sec. I a.C.), con i suoi 22 metri uno dei più grandi ponti romani per ampiezza di luce, e il ponte sul Castellano, distrutto nel 1944 e ricostruito nel 1971 con il materiale originario. È detto “di Cecco” per una leggenda che lo vuole costruito in una sola notte dall’eretico Cecco d’Ascoli con l’aiuto del diavolo.
La via consolare che collegava Roma all’Adriatico passando per Ascoli fu chiamata Salaria perché raggiungeva le saline, che garantivano alla capitale l’approvvigionamento dell’allora prezioso minerale. In epoca imperiale Ascoli si trovò ad essere al centro del Picenum, la regio V secondo la suddivisione dell’Italia operata da Augusto.
All’inizio del IV secolo d.C. il Cristianesimo si diffuse ad Ascoli per opera del primo vescovo della città, Emidio, oriundo di Treviri, che subì il martirio sotto Diocleziano per aver convertito Polisia, figlia del prefetto romano Polimio. A S. Emidio, protettore di Ascoli, è oggi dedicata la cattedrale. Le invasioni barbariche e la guerra greco-gotica non portarono all’estinzione dell’antico centro romano, che sopravvisse, come in tutta Italia, grazie alla presenza del vescovo, il quale garantì la continuità delle istituzioni civili.
Nel 578 Ascoli fu occupata e saccheggiata dai Longobardi di Faroaldo, duca di Spoleto, che la annesse al suo vasto territorio. I Longobardi lasciarono importantissime testimonianze della loro presenza con i reperti rinvenuti nella necropoli di Castel Trosino, scoperta per caso nel 1893. Questi ultimi si trovano attualmente al Museo dell’Alto Medioevo a Roma, ma il Museo Archeologico di Ascoli conserva alcuni oggetti riferiti all’abbigliamento maschile e femminile dell’epoca.
Anche con l’avvento dei Franchi Ascoli rimase legata al ducato di Spoleto finché, intorno al Mille, il conte Odmondo, privo di eredi, ne affidò il governo civile al vescovo Emmone. Il potere ecclesiastico si consolidò a tal punto che l’imperatore Lotario II concesse al vescovo Presbitero nel 1138 anche il titolo di principe. Ma nel 1185 una sommossa popolare rovesciò il potere del vescovo-principe e proclamò l’autogoverno comunale. Furono create nuove istituzioni, mentre si rafforzarono le manifatture e i commerci. Una folta schiera di torri gentilizie sorse tra case e palazzi, tutti edificati in travertino.
Nel periodo delle fiere lotte tra guelfi e ghibellini, Ascoli subì un duro colpo allorché, nel 1242 fu occupata e saccheggiata dalle truppe dell’imperatore Federico II. Sembra che ben 91 delle 200 torri gentilizie che ornavano la città fossero demolite dagli imperiali. Oggi se ne possono ancora identificare circa 50: alcune integre, molte ridimensionate e incorporate nei palazzi, altre ancora riutilizzate come campanili.
Ribellatasi all’autorità imperiale dopo la morte di Federico II, Ascoli fu di nuovo assoggettata dal figlio Manfredi nel 1266, ma solo per tornare nello stesso anno sotto l’autorità della S. Sede.
Quest’ultima concesse alla città un’ampia autonomia aprendo il periodo più felice della sua storia. La città si diede due consigli, quello generale, composto di 800 membri e quello speciale composto da 200, mentre il capo del comune era sempre il podestà. Alla fine del XIII secolo fu creata anche la carica di capitano del Popolo, che aveva il compito di difendere gli interessi dei ceti meno abbienti. Lo splendido palazzo edificato in piazza del Popolo testimonia l’importanza della carica.
Negli ultimi decenni del Duecento nacque Francesco Stabili detto Cecco d’Ascoli, originale e discussa figura di letterato, astrologo, matematico e filosofo, autore del poema Lacerba. Sostenitore di idee eterodosse, fu accusato di eresia e morì sul rogo nel 1327.
Nel 1377 furono riordinati gli Statuti, i quali ci informano, tra l’altro, sullo svolgimento della giostra della Quintana: “Et poi (…) quilli che a cavallo ha jocato al hasto overo armigiato, se vorrà, corra a la quintana, la quale lu dicto camorlingho la faccia fare como le altre sopradicte cose, la quale se ponga et ficcase in ne lu dicto arengho”, cioè in piazza Arringo. Lo svolgimento dell’antico torneo, che si tiene ancor oggi, è testimoniato da un bel bassorilievo duecentesco raffigurante uno scontro tra due cavalieri, indossanti armature e caricanti con le lance in resta, scolpito nel travertino e attualmente incastonato in un’edicola in corso Mazzini.
Dal papato di Niccolò IV al 1502
Dalle signorie alla fine dell’autonomia
L’elezione, nel 1288, di un papa ascolano, Niccolò IV, al secolo fra Girolamo da Lisciano, primo papa francescano, testimonia dell’importanza che aveva assunto la città, ma anche della forte presenta del francescanesimo in essa. Niccolò IV donò alla città natale il suo piviale, un raro esempio di un paramento sacro di manifattura inglese, oggi conservato nella Pinacoteca Civica.
Nel Trecento Ascoli fu impegnata in diverse violente contese territoriali con la vicina e rivale Fermo. In occasione di una di esse nel 1348 chiamò il signore di Rimini Galeotto Malatesta, il quale oltre a combattere contro Fermo, si impadronì della stessa Ascoli, venendone scacciato solo nel 1356. Nel frattempo aveva fatto erigere nei pressi del ponte di Cecco (sul torrente Castellano) quel Forte Malatesta che sarebbe stato una delle costruzioni difensive più importanti di Ascoli.
Le vicende che seguirono sullo scorcio del XIV secolo e nel XV furono assai turbolente, con la costituzione di brevi signorie seguite da temporanei ritorni sotto la S. Sede. I signori che la dominarono via via furono: il ghibellino conte Filippo Tibaldeschi, il capo delle truppe pontificie Blasco Gomez, il duca d’Atri, il re Ladislao di Napoli (in feudo), il conte di Carrara e i suoi figli, per finire con Francesco Sforza, signore di buona parte della Marca dal 1434 al 1445. Dopodichè Ascoli accettò la soggezione alla S. Sede, ottenendone in cambio nel 1482 un’ampia autonomia amministrativa, detta Libertas ecclesiatica. Per celebrare la conquistata Libertas, il grande pittore veneto Carlo Crivelli, stabilitosi ad Ascoli nel 1469, dipinse la celebre tavola dell’Annunciazione, oggi conservata alla National Gallery di Londra.
Questo periodo è caratterizzato da violente lotte tra fazioni, che alle motivazioni ideologiche (guelfi contro ghibellini) sovrapponevano le mire di potere di alcune famiglie come i Guiderocchi e i Malaspina, i quali si impadronirono della città tenendola in un continuo stato di guerra tra bande. Nel 1502, per liberarsi dai tiranni e dalle lotte tra fazioni, Ascoli rinunciò all’autonomia, tanto faticosamente ottenuta, e passò sotto il diretto controllo della S. Sede.
Nella seconda metà del Quattrocento Ascoli visse una fase culturale di alto livello che si manifestò nelle opere di scrittori e pensatori come Enoch d’Ascoli, Cola Pizzuti, Pacifico Massimi e Antonio Bonfini. È in questo periodo, nel 1473, che Carlo Crivelli dipinse il suo capolavoro: lo splendido Polittico di S. Emidio, conservato nella cappella del Ss. Sacramento del Duomo. Altre opere di Carlo Crivelli conservate ad Ascoli sono la Madonna di Poggio di Bretta (Museo Diocesano) ed i due trittici di Valle Castellana (Pinacoteca Civica), mentre numerosi altri dipinti sono andati perduti oppure sono dispersi in molti musei del mondo. Crivelli, morto nel 1495, lasciò un allievo di notevole valore, l’austriaco Pietro Alemanno, autore di polittici commissionati dalle comunità slave e albanesi e di molti dipinti per le chiese del territorio ascolano. Anche nell’oreficeria, Ascoli raggiunse livelli di eccellenza con l’opera della famiglia Vannini.
Tra Quattrocento e Cinquecento si diffuse in città una pratica piuttosto curiosa, quella di incidere sugli architravi delle porte dei palazzi, a mo’ di insegnamento, frasi e motti in latino o in italiano che potevano derivare dalla fede, dalla saggezza popolare o dalle esperienze vissute dai proprietari. Queste iscrizioni sono ancora visibili nelle zone di Corso Mazzini e Via Soderini. Ne offriamo una scelta:
Chi morte teme de vita non è degno.
Chi può non vo. Chi vo non può. Chi sa non fa. Chi fa non sa. Et così el mundo mal va.
Chi altri tribula a sé non dà pace.
Ciò che può l’huom fa che fortuna vogli.
Ma lassate pur dir chi pur dir vole.
Non senza fatiga.
Non è virtù che povertà non guasti.
Semper festina lente (Affrettati sempre lentamente).
Nemo est sua sorte contentus (Nessuno è contento della sua sorte).
I due centri della vita civile e religiosa
Gli edifici che si affacciano sulla splendida piazza del Popolo, forse la più bella delle Marche, si andarono definendo nel corso del Medioevo per trovare la sistemazione definitiva nel Cinque-Seicento. La maestosa chiesa di S. Francesco, la cui edificazione iniziò nel 1258 e terminò con la costruzione della cupola nel 1549 e della facciata nel primo Seicento, è un notevole esempio di architettura gotica. Magnifici i due portali, quello principale, caratterizzato da eleganti colonnine che sorreggono gli archivolti e quello laterale (che dà sulla piazza), con il monumento a papa Giulio II eretto nel 1506. Il lato nord della piazza è chiuso da un fianco e dall’abside della chiesa, che si definiscono per l’elegante gioco prospettico. Addossato al fianco sinistro della chiesa è il chiostro Maggiore.
Il palazzo dei Capitani del Popolo, caratterizzato da un imponente portale e da un magnifico cortile rinascimentale a logge, è l’edificio che meglio rappresenta il potere politico ad Ascoli essendo stato sede del Comune dal 1400 al 1564 nonché residenza del podestà, degli Anziani e, più tardi, del governatore pontificio. Edificato fra XIII e XIV secolo unendo tre edifici preesistenti, subì varie trasformazioni fino ad assumere nel primo Cinquecento, con gli interventi di Cola dell’Amatrice, la forma monumentale che conserva ancor oggi.
L’altro centro della vita ascolana era e continua ad essere piazza Arringo (o dell’Arengo), così chiamata per le assemblee popolari che vi si tenevano. L’imponente palazzo dell’Arengo, oggi sede della Pinacoteca Civica e del Comune, nelle sue forme attuali risale al Sei-Settecento e tuttavia incorpora edifici medievali, di cui alcune parti sono oggi visibili nelle due sale a tre navate del piano terra e nel grande salone al piano superiore con copertura a capriate. L’insigne Cattedrale (o Duomo) di S. Emidio, sorta su un edificio paleocristiano, fu profondamente trasformata nel Cinquecento con la costruzione delle due navate laterali, dell’abside centrale e dell’incompiuta facciata, notevole opera di Cola dell’Amatrice (1480-1547) grande architetto allievo del Bramante oltre che pittore di tavole, tele e affreschi, scultore, e ingegnere. Molto più antico nelle sue forme è il pregevole Battistero di S. Giovanni. Già esistente, come la cattedrale, in età altomedievale, fu ricostruito nella seconda metà del XII secolo. Vi si conserva l’originaria vasca circolare per il battesimo ad immersione.
Allo stesso periodo del Battistero, o a secoli seguenti, si collegano le sedici chiese romaniche che si trovano ad Ascoli. Le principali sono: S. Tommaso (sorta nel 1069), S. Angelo Magno (con facciata del 1292), SS. Vincenzo e Anastasio, con la caratteristica facciata adorna di 64 formelle un tempo affrescate, S. Vittore, S. Maria Intervineas (“tra le vigne”), fondata nel V secolo e la farfense S. Salvatore di Sotto.
Dal Cinquecento a oggi
Il Cinquecento
Benché Ascoli dal 1502 avesse rinunciato all’autogoverno e fosse sottoposta a governatori inviati dal pontefice, continuò nel XVI secolo ad essere teatro di lotte tra famiglie e fazioni, che sfociarono nell’incendio del palazzo del Popolo avvenuto nel 1535. Venti anni dopo avvenne un ennesimo fatto di sangue, quando il governatore pontificio Sisto Vezio fu trucidato all’interno del Duomo. Talvolta i nobili esiliati in seguito al prevalere dell’una o dell’altra fazione si univano ai banditi alla macchia per consumare le loro crudeli vendette. I legati pontifici erano allora costretti a rispondere ai loro crimini con spietati supplizi.
In tanto disordine della vita pubblica continuava l’edificazione di chiese, in particolare del Duomo, la cui imponente facciata fu eretta nel decennio 1529-39 su disegno di Cola dell’Amatrice. La città era ancora economicamente vitale grazie alle numerose attività manifatturiere, legate soprattutto alla produzione dei panni di lana.
Allorché, nel 1585, fu eletto papa Sisto V, originario della vicina Montalto, i metodi per combattere il banditismo si fecero ancora più decisi, tanto che il governatore Mandriani, da lui inviato ad Ascoli, fece impiccare ottanta briganti. Un altro sistema per liberarsi dei fuorilegge che imperversavano nel territorio ascolano era quello di inviarli, una volta catturati, in Ungheria a combattere contro i Turchi. È ciò che avvenne nel 1592 quando il cardinale Sangiorgi ne spedì ben 572 nella pianura magiara a battersi contro gli Ottomani.
Due secoli di pace
Con il XVII secolo Ascoli conobbe finalmente una situazione di relativa pace, mentre il governo della città si fece più accentrato e l’economia diventò quasi esclusivamente agricola. Continuò tuttavia, come diffusa attività artigianale, la lavorazione dei filati di seta. Nel corso del secolo la città perse popolazione. Nel 1656 contava solo 7600 abitanti, raggiungendo gli 8500 all’inizio del XVIII secolo e gli 11300 nel 1782. Non vi erano ormai più guerre, ma solo, di tanto in tanto, passaggi di truppe straniere.
Nel Settecento furono effettuate diverse ristrutturazioni di importanti edifici cittadini: nel 1745 quella del palazzo dell’Arengo, ad opera dell’architetto Giuseppe Giosafatti e dal figlio Lazzaro, che realizzarono una nuova facciata più avanzata rispetto alla precedente. In un salone dello stesso palazzo fu installata una scena mobile per spettacoli teatrali (un teatro in legno esisteva già dalla metà del ‘500). Nel Duomo venne ristrutturata la parte centrale della cripta e vi fu collocato il gruppo marmoreo, pure di Lazzaro Giosafatti, di S. Emidio che battezza Polisia. Infine in questo secolo fu anche completamente ristrutturato il nucleo principale del palazzo del palazzo dell’Episcopio.
Dall’età napoleonica al Novecento
La fine del Settecento porta una ventata rivoluzionaria in tutta Europa e Ascoli non poteva restarne immune. Nel febbraio 1798 il Consiglio generale di Ascoli deliberò di democratizzare il governo cittadino, associando al potere (oltre i nobili) anche i dotti, i mercanti e contadini.
L’occupazione napoleonica tuttavia provocò nell’Ascolano una generale “insorgenza”, rinfocolata da bande di briganti. Il brigante più famoso fu Giuseppe Costantini, detto Sciabolone, che dopo un’imboscata tesa ai soldati giacobini a Ponte d’Arli, si impadronì di Ascoli il 23 gennaio 1799 mantenendone il controllo fino al giugno dello stesso anno. Il generale napoleonico Monnier, rioccupata la città, lasciò che venisse saccheggiata dalle sue truppe. Ascoli pagò cara l’insurrezione: nel 1808 Napoleone istituì il Dipartimento del Tronto ponendo però il capoluogo a Fermo.
La marginalizzazione di Ascoli a vantaggio di Fermo durò solo pochi anni perché con la restaurazione del governo pontificio (1814) la città tornò ad essere capoluogo di provincia. Sotto il governo pontificio fu edificato il teatro Ventidio Basso, su progetto di Ireneo Aleandri. Inaugurato nel 1846, fu completato alcuni anni più tardi con la magnifica facciata neoclassica in travertino.
Il processo risorgimentale non lasciò indifferenti gli ascolani: nel 1849 la città aderì alla Repubblica Romana accogliendo entusiasticamente Garibaldi di passaggio per Roma, e nel 1859 ben ottanta volontari ascolani parteciparono alla battaglia di S. Martino.
Con l’Unità d’Italia Ascoli Piceno divenne il capoluogo di una vasta provincia che comprendeva anche il territorio dell’eterna rivale Fermo.
Iniziò così la storia post-risorgimentale di un tranquillo capoluogo di provincia. Nel 1907 fu inaugurato in piazza del Popolo il Caffè Meletti, oggi compreso nell’elenco dei 150 caffè storici d’Italia, luogo di ritrovo dei notabili e degli uomini di cultura della città.
Durante la Seconda guerra mondiale, dopo l’8 settembre 1943, Ascoli e le sue vicinanze (in particolare il Colle S. Marco) furono teatro di numerosi episodi di resistenza all’occupazione nazi-fascista che le sarebbero valsi nel 2001 l’attribuzione della Medaglia d’oro al valor militare per la guerra di Liberazione.
Nei decenni successivi sia la presenza di tradizionali attività come la cartiera, sia le provvidenze della Cassa per il Mezzogiorno, che ha interessato la valle del Tronto a partire dal 1951, hanno favorito lo sviluppo industriale del territorio ascolano.
Il fascino della città storica ha attirato ad Ascoli notevoli registi che vi hanno girato film di successo come I delfini di Citto Maselli (1960) e Alfredo Alfredo di Pietro Germi (1972); da citare anche Il grande Blek di Giuseppe Piccioni (1987) e il recente Il maestro degli errori (2003) di P.M. Benfatti sulla vita di Cecco d’Ascoli.
Notevole impulso hanno dato alla cultura cittadina le Facoltà di Architettura e di Scienze e Tecnologie, con vari corsi di laurea, che l’Università di Camerino ha qui istituito. Inoltre l’Istituto Superiore di Studi Medievali “Cecco d’Ascoli” promuove il patrimonio storico-artistico del Piceno anche con il prestigioso Premio Ascoli.
Nel 2004 Ascoli Piceno ha subìto la perdita della parte settentrionale della suo territorio provinciale con l’istituzione della nuova provincia di Fermo. Nonostante ciò la città, che oggi conta 51.500 abitanti, resta uno dei centri più vitali delle Marche sia per le attività economiche che per il turismo di qualità. Ascoli è oggi nota e apprezzata in Italia e nel mondo per lo straordinario patrimonio di storia, arte e cultura racchiuso nel suo centro storico e nei suoi musei. Ha scritto a ragion veduta Jean-Paul Sartre: “Una passeggiata per le strade della città vecchia ascolana è come lo sfogliare a caso un volume di storia dell’arte e avere la fortuna di incontrare le illustrazioni più rappresentative ed espressive dei vari periodi dell’arte italiana”.
a cura di Pier Luigi Cavalieri