La battaglia navale di Lepanto, combattuta il 7 ottobre 1571 nelle acqua antistanti Patrasso in Grecia e celebrata per la grande vittoria riportata dalla Cristianità sui Turchi musulmani, vide la partecipazione di molti marchigiani, alcuni dei quali perirono in combattimento.
Dopo la conquista di Costantinopoli (1453) i Turchi Ottomani continuarono ad avanzare fino a occupare l’intera penisola balcanica, mentre nel Mediterraneo essi controllavano tutta la sponda sud e verso est il Medio Oriente. Resistevano tenacemente all’avanzata turca alcune terre e isole greche che appartenevano alla Repubblica di Venezia. Tra esse Cipro, chiave di volta per il controllo del Mediterraneo orientale. Nei primi mesi del 1571 i Turchi sferrarono l’attacco all’isola riuscendo a conquistarla dopo un lungo assedio alle sue roccaforti di Nicosia e Famagosta. A questo punto sia Venezia che gli altri stati italiani, in primis lo Stato della Chiesa, e la Spagna, allora massima potenza europea, ritennero giunto il momento di fermare l’espansionismo dei Turchi nel Mediterraneo attaccandone la flotta.
Attacchi turchi e barbareschi nelle Marche
Nel corso del Cinquecento la costa marchigiana fu costantemente sotto attacco da parte turca non con una guerra aperta, ma attraverso atti di pirateria: sbarchi improvvisi degli equipaggi di “fuste” provenienti dai territori dell’Impero ottomano in piccoli centri costieri mirati al saccheggio e alla cattura di prigionieri da vendere come schiavi. Ad esempio nel 1518 pirati “barbareschi” (nordafricani), attaccarono il castello di Porto Recanati e le vicine case dei pescatori, dando alle fiamme l’intero centro abitato e facendo strage della popolazione. Un nuovo sbarco vi fu nel 1562, con un altro massacro e con la deportazione in schiavitù di trenta marinai del Porto. Un ulteriore attacco che si preparava presso Numana nel giugno dello stesso anno fu sventato dalle navi venete che pattugliavano permanentemente l’Adriatico anche per conto dello Stato pontificio. Sono solo alcuni esempi di quella guerra di logoramento a cui furono sottoposte le popolazioni della costa marchigiana. Da Roma i pontefici tentavano di prevenire gli attacchi sia promuovendo la costruzione di fortificazioni lungo la costa che con altri provvedimenti: nel 1545 papa Paolo III istituì il Collegio di militi lauretani che aveva il compito di proteggere il santuario di Loreto, a cui erano rivolte le mire dei corsari turchi o barbareschi, e dei pellegrini che ad esso affluivano, mentre nel 1560 papa Pio IV inviò nella Valle del Chienti un’armata per fronteggiare il paventato, ma poi scongiurato, sbarco del corsaro Dragut. Sei anni più tardi la minaccia turca fu talmente avvertita che ben 4000 soldati furono raccolti e schierati per difendere Macerata, sede del governatore della Marca.
I preparativi e la battaglia
Questi e numerosi altri episodi mostrano come, quando nel 1569 papa Pio V si dedicò alla costituzione di una lega tra le potenze cristiane, nelle Marche, come lungo tutta la sponda adriatica della Penisola, vi era già da tempo un clima di guerra difensiva. Tale clima si respirava particolarmente ad Ancona, dove il pontefice aveva inviato nel 1566 il colonnello Cesare Guasco a rafforzare le difese esistenti e ad allestirne di nuove. Guasco eresse un baluardo preso la punta rocciosa del Monte Marano, il colle su cui sorgeva Ancona e che da lui avrebbe preso il nome. Inoltre creò una scuola per soldati addetti ai bombardamenti, diretta da Giacomo Fontana, cui pure era stata affidata l’esecuzione dei nuovi lavori nelle fortezze anconetane, in particolare nella Cittadella.
Intanto, il 20 maggio 1570, sotto la pressione degli eventi a Cipro, fu costituita quella Lega Santa che vedeva alleati la Spagna (comprendente anche il Ducato di Milano e tutta l’Italia meridionale), Venezia e tutti gli altri stati italiani, compreso il Ducato di Urbino. Fu scelto come comandante generale delle forze della Lega il giovane don Giovanni d’Austria, fratellastro del re di Spagna Filippo II, mentre l’11 giugno fu nominato capitano generale dell’armata e della flotta della Santa Sede il nobile romano Marcantonio Colonna, che avrebbe svolto anche la funzione di luogotenente di tutta la spedizione. Colonna si recò ad Ancona per armare le navi pontificie dotandole di fanti e soldati raccolti dai vari comuni nonché di galeotti addetti ai remi. Alle città veniva chiesto un certo numero di uomini in base ai loro abitanti e alla loro ricchezza. Ad esempio, a Recanati furono richiesti 108 “remiganti” per le galee pontificie, numero che il Comune ritenne eccessivo ma che non poté ridurre. Benché non sia possibile dare una cifra precisa dei partecipanti marchigiani alla battaglia, gli archivi hanno restituito i nomi di numerosi soldati e marinai provenienti da Ascoli, Fermo, Ripatransone, Tolentino, Macerata, Matelica, San Severino, Sassoferrato, Jesi Ancona, Osimo, Fano e altre località. Il Ducato di Urbino partecipò ufficialmente e in forze, con un contingente comandato dal principe Francesco Maria Della Rovere, figlio del duca Guidubaldo II. Secondo la tradizione presero parte alla battaglia 150 abitanti di Spelonga, frazione di Acquasanta Terme, un terzo dei quali tornò portando un vessillo strappato ai Turchi. Il drappo, conservato nella chiesa di S. Agata, è scampato al terremoto del 2016 che ha distrutto il piccolo centro.
Il primo tentativo di soccorrere i Veneziani assediati a Cipro non riuscì per una violenta tempesta che disperse le galee, così che il Colonna tornò ad Ancona con sole quattro navi. Nonostante ciò si riprese a raccogliere navi e uomini nel porto di Ancona per la nuova spedizione. Tra luglio e settembre 1571 le forze della Lega si congiunsero a Messina. In totale le galee lì riunite erano 209 (dodici quelle della Chiesa), più sei galeazze (navi di gradi dimensioni) veneziane. Quando si giunse allo scontro nel golfo di Lepanto prevalsero le forze cristiane, le quali si impadronirono di 117 navi nemiche prendendo 10.000 prigionieri turchi e liberando molti cristiani addetti ai remi. Alla fulgida vittoria cristiana in una delle più grandi battaglie navali della storia contribuirono migliaia di marchigiani per lo più sconosciuti, molti dei quali sacrificarono la propria vita.
A perenne ricordo della battaglia, Pio V istituì, il 7 ottobre, la festività della Madonna della Vittoria, che fu trasformata nella Madonna del Rosario da papa Gregorio XIII, in quanto i combattenti avevano recitato il rosario prima dello scontro. Pio V aggiunse le litanie lauretane alla recita del rosario e tra queste inserì l’invocazione Auxilium christianorum.
a cura di Pier Luigi Cavalieri