Annibal Caro è considerato uno dei più tipici letterati del Cinquecento italiano. Fu uno scrittore poliedrico, noto fino a qualche decennio fa al grande pubblico per la sua versione in italiano dell’Eneide di Virgilio, e agli studiosi per il suo ricco epistolario, le gustose satire e una frizzante commedia.
Da Civitanova a Roma
Annibal Caro nacque a Civitanova il 6 giugno 1507, figlio dell’aromatario (cioè farmacista) Giovan Battista Caro, originario di Montegallo e di Celanzia Centofiorini, appartenente a una famiglia di colti giuristi. A Civitanova il giovanissimo Annibale ebbe come maestro un umanista, Rodolfo Iracinto, originario di Teramo, poi trasferitosi a Monterubbiano e infine nella località adriatica. E’ noto che per qualche tempo tenne una cattedra di retorica nello Studium di Macerata. Da Iracinto egli apprese le lingue classiche, l’amore per la poesia e l’arte di verseggiare. Nel volumetto dell’Iracinto Iudicium Paridis il diciottenne Annibal Caro pubblicò il suo primo componimento poetico in latino, dimostrando una sicura conoscenza di quella lingua.
Ben presto (intorno al 1525) gli si presentò l’occasione di allontanarsi da Civitanova per raggiungere la città che ogni giovane talento, letterario o artistico, del tempo voleva conoscere, Firenze, dove fu la servizio di Giovanni Gaddi, fratello del vescovo di Fermo, come precettore del nipote. Entrò subito in contatto con i letterati fiorentini attraverso Benedetto Varchi e studiò da autodidatta le opere di Petrarca e Boccaccio, i grandi toscani ormai indicati dal bembismo imperante come modelli linguistici da seguire per tutti i letterati d’Italia.
Dal 1529 al 42 seguì il Gaddi a Roma, dove pubblicò i suoi primi scritti, nello stile del Berni, scritti ironici, satirici e anche licenziosi.
Dopo la morte del suo protettore Gaddi nel 1543, Caro passa al servizio della potente famiglia romana dei Farnese, in particolare di Pier Luigi Farnese, duca di Parma e Piacenza, per il quale compie anche servizi che oggi sarebbero tra il diplomatico e quello di intelligence. A Piacenza risiede dal ‘45 quando non deve recarsi in missione all’estero. Prima di lasciare Roma aveva scritto proprio per i Farnese la gustosa Commedia degli Straccioni ambientata nei pressi del palazzo dei suoi protettori.
La morte di Pier Luigi Farnese nel ‘47, lo riportò a Roma, questa volta al servizio del fratello cardinale Alessandro Farnese con cui restò a lungo, fino al 1563.
Il Caro pacificatore di Civitanova
A Civitanova, come in mole altre località dello Stato della Chiesa, ancora nella prima metà del Cinquecento, imperversavano le lotte tra fazioni e le faide familiari. In particolare vi erano due famiglie rivali, gli Ugolati e i Tofini, che si combatterono aspramente, anche con fatti di sangue. Nel 1532 dieci membri di ciascuna delle due casate furono banditi dalla città dal Consiglio generale, ma le lotte intestine durarono ancora a lungo come si evince da diverse lettere dello stesso Caro, che soffriva per le discordie della sua località di nascita. Egli si adoperò per la pacificazione scrivendo a vari potenti personaggi del tempo legati alla famiglia Farnese. E finalmente, dopo ventotto anni di lotte, si firmò la pace alla presenza di un notaio e dello stesso Annibal Caro.
Si colloca in questo contesto il famoso sonetto dedicato dal Caro alla sua città, che egli definisce “patria”.
Godi, patria mia cara, or ch’i tuoi figli
Così tranquillamente in pace accogli,
che pur dianzi fremean d’ira e d’orgogli,
e di sangue ancor caldo eran vermigli.
L’allusione allo spargimento di sangue non poteva essere più diretta. Segue una saggia raccomandazione:
Spegni l’odio e l’invidia ond’ha radice
Col nostro error la froda del vicino,
che fa il popol tuo da te rubello.
Infine un auspicio per il futuro con un’allusione al pico, il picchio animale totem dei Piceni che secondo Livio indicò loro con il suo volo quella che sarebbe diventata la loro terra:
Così vedrotti ancor terra felice
Tal che forse dall’Adria a l’Appennino
Pico non vide mai nido sì bello.
L’Adria è naturalmente il mare Adriatico e “Pico non vide mai nido sì bello” va inteso come “Mai alcun picchio vide un nido così bello”.
Ad Annibal Caro i concittadini riconobbero altri meriti, forse più tangibili di un sonetto: attraverso le sue conoscenze altolocate (i Farnese ovviamente) riuscì infatti a ottenere che il Comune di Civitanova fosse alleggerito di ben 200 scudi annui di tributi da pagare alla Camera Apostolica. Bisognava ricambiare il favore e perciò il Consiglio esonerò la sua famiglia di qualunque tassa comunale, fino alla terza generazione. I maligni, che non mancavano neppure allora, dissero che si era intascato – non si sa come – diverse annate di tributi dovuti da Civitanova alla Camera Apostolica, ma il letterato smentì indignato.
Gli ultimi anni
Nel 1563, guastatisi i suoi rapporti con il cardinal Farnese, il Caro decise di ritirarsi a vita privata. Acquistò una casa in campagna, presso Frascati, dove si dedicò a quell’otium cum dignitate che doveva essere stato, nei lunghi anni in cui aveva scritto lettere per i Farnese provando spesso stanchezza e noia, il suo ideale di vita. Non si godette a lungo il meritato otium, perché la podagra ne causò la morte nel 1566, a Roma.
La famiglia di origine diventò custode della sua memoria a Civitanova. Ne fece scolpire un busto con testa bronzea dal recanatese Andrea Calcagni, che, finito sul mercato antiquario nell’Ottocento, fa oggi bella mostra di sé al Victoria and Albert Museum di Londra ed è considerato una delle migliori opere del genere del secondo Cinquecento.
La casa natale dell’illustre letterato si conserva ancora a Civitanova Alta, ed è oggi sede della Pinacoteca Moretti, prestigiosa istituzione culturale cittadina. Un'iscrizione latina posta nel piccolo cortile della dimora del poeta ricorda: “Questa è la casa di Annibal Caro, dove felicemente abitarono Pallade e le Muse e le Grazie”. La stessa epigrafe figura su una lapide con medaglione davanti alla stessa casa. Al genius loci Annibal Caro è anche intitolato il locale teatro. Civitanova Marche ha celebrato quest’anno con una serie di manifestazioni i 450 anni dalla sua morte.
a cura di Pier Luigi Cavalieri