Urbania (6.700 abitanti, m. 451 s.l.m., in provincia di Pesaro e Urbino) sorge nell’alta valle del Metauro, su una tortuosa ansa dello stesso fiume. Vi risiedettero a più riprese i duchi di Urbino e l’ultimo di essi, Francesco Maria II Della Rovere, la elesse come propria residenza. È nota in tutta Europa per la raffinata produzione di ceramiche del XVI secolo, che conosce oggi una rinascita. È centro rinomato anche per la produzione di jeans.

 Da Urbinum Mataurense a Casteldurante

Come per la vicina Urbino anche la storia di Urbania inizia con l’età romana. Diversi rinvenimenti hanno fatto ipotizzare l’esistenza di un piccolo centro (vicus) sulla via di collegamento tra i due municipi di Tifernum Mataurense (oggi S. Angelo in Vado) e Urvinum (Urbino).

In età altomedievale il territorio si andò riorganizzando con pievi, abbazie, eremi e conventi finché si formò un primo centro abitato in collina chiamato Castel delle Ripe.

Nel Duecento la sua fedeltà alla parte guelfa le valse due distruzioni consecutive per mano della ghibellina Urbino. La popolazione trovò rifugio a valle, tra le mura dell’abbazia benedettina di S. Cristoforo del Ponte (il santo è oggi protettore della città). Intorno al 1284 il prelato provenzale Guillaume Durand, governatore della Romagna curò la ricostruzione del centro abitato, che in suo onore prese il nome di Casteldurante. Il distacco dal “comitato” di Urbino non portò tuttavia alla libertà comunale in quanto il nuovo comune cadde sotto la signoria di uno dei due rami della famiglia feudale dei Brancaleoni (l’altro era quello dei signori di Piobbico).

Sotto i Brancaleoni Casteldurante assunse nel 1367 il ruolo di piccola capitale di un territorio incuneato tra Marche e Toscana e noto come Massa Trabaria. Complesse vicende di successione portarono nel XIV secolo alla divisione della Massa fra tre fratelli Brancaleoni: a Galeotto e Alberico toccò Casteldurante, mentre a Bartolomeo andarono Mercatello sul Metauro e altri comuni. Poiché il governo dei due fratelli Brancaleoni si era trasformato in una tirannia, essi furono trucidati dalla popolazione. Piuttosto che subire nuove tirannie nel 1424 i durantini scelsero di entrare a far parte della contea (dal 1443 ducato) di Urbino, decisione che si sarebbe rivelata per loro assai vantaggiosa.

 

Dai Montefeltro ai Della Rovere

Intorno al 1470 su quello che era stato il castello dei Brancaleoni Federico da Montefeltro fece costruire un Palazzo Ducale, su progetto di Francesco di Giorgio Martini. Le sale e il camminamento affacciato sul Metauro furono realizzate invece da Girolamo Genga. Il magnifico palazzo è caratterizzato da un lungo fronte scarpato a strapiombo sul fiume, affiancato da due torrioni, uno dei quali racchiude una bella rampa elicoidale. Dell’intero, vasto complesso edilizio (6000 mq) fanno parte due cortili, il più grande dei quali porticato con ventidue snelle colonne di travertino. Il piano nobile, nelle sale progettate dal Genga, ospita oggi il Museo Civico. Nella Sala dei Cavalieri si trovano esposte, oltre a importanti tele del tardo Cinquecento, due pregevoli Globi del Mercatore. La Pinacoteca, anch’essa all’interno del Palazzo, raccoglie dipinti soprattutto del periodo manierista, opere di grafica, disegni e una pregevole raccolta di ceramica locale che va dal XV al XVIII secolo. Altre istituzioni oggi ospitate nel Palazzo sono l’Archivio Storico del Comune e la Biblioteca.

Il dominio dei Montefeltro e dei Della Rovere, con la presenza in città di una delle loro residenze più fastose, segnò il periodo d’oro di Casteldurante. Mentre era in costruzione il Palazzo Ducale, nel 1465 Federico da Montefeltro ordinò anche la realizzazione di un altro edificio che destò l’ammirazione dei contemporanei, il Barco Ducale, che sarebbe stato residenza estiva e luogo preferito di caccia dei duchi di Urbino. Originariamente costruito come un quadrilatero con un cortile interno, fu modificato alla metà del Settecento con l’inserimento al suo interno della chiesa di S. Giovanni Battista. Durante l’estate il Barco, allora circondato da un fitto bosco di cerri e di querce, era frequentato dalla famiglia ducale e dai suoi ospiti, poeti e umanisti, tra i quali va ricordato Torquato Tasso.

 

Le ceramiche

Fu nel Cinquecento che Casteldurante si caratterizzò sempre più per la produzione di ceramiche, anche se vi sono testimonianze dell’impiego della nuova tecnica della maiolica già dalla fine del Trecento. Verso la metà del XVI secolo vi si contavano 40 forni di cottura e ben 150 maiolicari. Da queste botteghe uscirono pregevoli ceramiche artistiche, considerate fra le più belle del Rinascimento, oggi conservate nei più grandi musei del mondo. Fu l’argilla del Metauro a propiziare la specializzazione dei durantini in quest’arte. A ciò si aggiunse la presenza sul posto degli ossidi metallici (rame, ferro e manganese) e la facilità di approvvigionamento di stagno e zaffera attraverso la Via Flaminia. Le ceramiche di Casteldurante, si caratterizzarono sempre più per lo sviluppo del modulo a foglia (o “cerquata”) e dell’istoriato ispirato alla mitologia classica e alle Sacre Scritture, nonché per gli smaglianti colori verdi, gialli e azzurri. Il durantino Cipriano Piccolpasso (1524-1579) illustrò nel suo trattato Li tre libri de l’arte del vasaio (1548) i segreti di bottega dei ceramisti del Cinquecento.

 

Fervore artistico nel XVI secolo

Nel corso del Cinquecento a Casteldurante vengono eseguiti diversi lavori di restauro o di ricostruzione di chiese. A partire dal 1467 per volere del cardinale Bessarione, l’antica chiesa di S. Cristoforo, protettore dei viandanti e dei traghettatori, assunse forme rinascimentali. Il Bessarione donò anche una preziosa reliquia del santo custodita in una preziosa urna d’oro e d’argento opera della bottega del Pollaiolo. Seguì un restauro nel 1502 e un radicale intervento nel 1759 che le diede le forme attuali.

Uguale rinnovamento conobbe la chiesa di S. Francesco, che era stata edificata nel Duecento e consacrata nel 1327. Fu completamente ricostruita anche la chiesa di S. Caterina d’Alessandria, che ospitava già nel XIV secolo una Confraternita degli artisti, chiara testimonianza dell’esistenza di un certo numero di pittori, scultori, disegnatori di ceramiche, plasticatori e decoratori locali. Tra i primi spiccano nel Cinquecento Giorgio Picchi, Donnino Berti e Domenico Peruzzini (che si distinse in particolare ad Ancona), tra gli scultori Ottaviano Dolci e il figlio Lucio. Due oratori furono riedificati nel Cinquecento: quello del Carmine e quello del Corpus Domini, che era stato istituito nel 1282 e trasformato in chiesa intorno al 1520 dall’architetto Girolamo Genga. La nuova chiesa fu decorata dal manierista toscano Raffaellino del Colle, che aveva affrescato anche la Villa dell’Imperiale presso Pesaro.

Nel 1543 fu anche demolito il Palazzo Comunale, poi ricostruito con l’apporto di Girolamo Genga. Inaugurato nel 1557, ospita ancora oggi il Municipio.

Casteldurante sotto i Della Rovere

L’importanza di Casteldurante (la futura Urbania) non diminuì con la successione dei Della Rovere ai Montefeltro nel ducato di Urbino (1508), ma fu anzi aumentata. Il Palazzo Ducale, da essi  ristrutturato, svolse la funzione di residenza estiva dei duchi, che amarono anche il Barco per le loro battute di caccia, ospitandovi diplomatici, poeti e artisti celebri. L’economia della cittadina continuò, nel corso del Cinquecento, ad essere caratterizzata dalla produzione di ceramica artistica, legata alla committenza ducale, che raggiunse livelli qualitativamente molto elevati. Essa sviluppò la tecnica dell’istoriato ispirandosi alla mitologia classica e alle Sacre Scritture, e si distinse per il raffinato uso del bianco e dei colori verdi, gialli e azzurri. Un'importante collezione di antiche ceramiche durantine è oggi conservata nel Museo Diocesano.

Francesco Maria II, sesto e ultimo duca di Urbino, scelse proprio Casteldurante quale sua residenza preferita e vi morì nel 1631. A lui si deve in particolare l’ampliamento della Biblioteca, che contava già 15.000 volumi ed era ospitata nel Barco, attraverso la costruzione di un’apposita ala del Palazzo Ducale (oggi non più esistente perché abbattuta nel 1952). A partire dal 1608 la Biblioteca si arricchì di un grande patrimonio di testi, che spaziavano in ogni campo del sapere del tempo, dagli scritti biblici ai testi storici, filosofici, oltre a dipinti, incisioni, disegni, carte geografiche, globi e manoscritti. Essa era ritenuta, per la quantità e la preziosità dei volumi e degli altri oggetti posseduti, tra le più importanti raccolte librarie del tempo. Il colto duca ne affidò la cura ai frati di S. Francesco Caracciolo.

 

Urbania sotto il governo pontificio

Morto senza eredi Francesco Maria II, il ducato di Urbino fu devoluto alla Santa Sede, che ne assunse il controllo diretto nel 1631. Cinque anni più tardi papa Urbano VIII concesse a Casteldurante lo status di città e di diocesi, e nel 1638 volle che in suo onore fosse chiamata Urbania.

La fine del ducato non fu però senza conseguenze: nel 1667 papa Alessandro VII sottrasse alla cittadina gran parte della preziosa Biblioteca messa insieme dai Della Rovere e lasciata in eredità al Comune, facendone trasferire i volumi a Roma, presso la nuova Biblioteca Alessandrina dell’Università La Sapienza. Tuttavia il primo vescovo della nuova città, Honorato degli Honorati, e il conte Bernardino Ubaldini vollero ricostituire almeno in parte il patrimonio perduto donando al Comune le loro “librarie” e collezioni d’arte.

Nel Sei-settecento continuò l’edificazione  e la ristrutturazione di edifici di culto. In particolare, la cattedrale di S. Cristoforo, già chiesa abbaziale benedettina, assunse le attuali forme neoclassiche nel 1759, ma la facciata fu terminata solo nel 1870. La chiesa di S. Francesco, rimaneggiata nel Settecento,  presenta al suo interno altari e decorazioni di età barocca oltre a dipinti di Giorgio Picchi e Giustino Episcopi. La chiesa del SS. Crocifisso, già Oratorio della Neve nel '400, più tardi chiesa dei frati Caracciolini, custodisce, sotto l’acquasantiera, il sepolcro dell'ultimo duca di Urbino. Ricostruita nel tardo Settecento, vi sono conservate due importanti opere di Federico Barocci: la Crocifissione e la Madonna delle Nuvole.

La chiesa di S. Chiara, adiacente al convento  delle Clarisse, fu rimaneggiata nel 1626 ed è legata alla committenza del conte Bernardino Ubaldini. Tra le opere d’arte in essa conservate: Madonna e Santi di Girolamo Cialdieri, Immacolata e Santi di Giovan Francesco Guerrieri e affreschi del XV secolo di scuola urbinate. La chiesa dei Morti, pure di origine medievale, dotata di un portale gotico, è famosa perché vi sono conservati cadaveri mummificati (dei secc. XVI-XVIII) dissotterrati nell’Ottocento dall’adiacente cimitero francescano. Da ricordare inoltre la chiesa di S. Caterina, decorata in forme barocche da artisti durantini, e i due oratori, del Carmine e del Corpus Domini. Anche il Barco Ducale, donato nel 1625 dal duca Francesco Maria II ai Frati Minori perché lo trasformassero in convento, divenne luogo di culto con l’edificazione della chiesa di S. Giovanni Battista, che venne a occupare il suo cortile interno nella seconda metà del Settecento.

Urbania seguì le vicende dell’ex ducato di Urbino nel periodo napoleonico e nel primo Ottocento. La manifattura della ceramica che, con la cessazione del ducato, aveva conosciuto una fase di decadenza, riprese vigore nell’Ottocento per opera della famiglia Albani con la produzione di stoviglie e terraglie, e continuò poi con la famiglia Piccini.

 

Dall’Unità d’Italia a oggi

Nel 1864 fu inaugurato un bel teatro, edificato sui ruderi dell’antica fortezza su progetto di Ercole Salmi, che si volle intitolare al genius loci Donato Bramante. In questo periodo la cittadina ducale aveva 4.770 abitanti. Avrebbe aumentato molto gradualmente la sua popolazione sino ai 7.000 abitanti del 1951. In questo lungo periodo l’economia di Urbania era quella di un piccolo centro agricolo dell’interno delle Marche.

In seguito ai drammatici eventi delle Seconda guerra mondiale, Urbania fu insignita della medaglia di bronzo al valor militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana.

Appena dopo il passaggio della guerra, nel 1944, grazie all’iniziativa di Federico Melis, rinacque l’arte della ceramica con una scuola apposita. Più tardi don Corrado Leonardi diede vita alla Ceramica Piccolpasso, dove si formarono molti degli attuali ceramisti; riaprirono le botteghe artigiane e riprese vigore questa antica tradizione. Oggi l'Associazione Amici della Ceramica svolge la funzione di scuola e circolo culturale mediante corsi rivolti anche ai turisti.

Altre importanti istituzioni che si occupano della storia della ceramica durantina sono il Centro Piccolpasso, il Museo Civico, che organizza convegni e mostre di rilievo, e il Museo Diocesano.

Dal punto di vista religioso, nel 1986 l'antica diocesi di Urbania-Sant’Angelo in Vado è stata unita  a quella di Urbino. Negli ultimi decenni del Novecento l’economia della cittadina, che conta oggi 6.800 abitanti,  è stata legata a un particolare “distretto”, quello del jeans, con numerose industrie di confezioni ben inserite nei mercati italiani e stranieri. Da pochi anni Urbania si è segnalata a livello nazionale come sede della Casa della Befana, con varie manifestazioni culminanti nel giorno dell’Epifania, facendo rivivere una tradizione profondamente sentita in tutta Italia.

a cura di Pier Luigi Cavalieri

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  • citta: URBANIA
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